Una incoercibile inclinazione a narrare, in
Ivano Mugnaini, che non si riduce nemmeno sotto la lente focale della poesia,
la quale necessariamente richiede, in quanto forma specifica, un adattamento. E,
difatti, il poeta sceglie una singolare
macchina per affrontare il cambio di scala rispetto a una prosa assiduamente
frequentata: genera una reazione chimica incendiaria nel cuore delle cose. Il
gioco reclama altissima precisione, pretende nientemeno che sia raggiunta
prioritariamente l’individuazione di un’essenza, ma la verità,
attenzione, non dovrà risiederà in essa, bensì soltanto nella sua inversione
concettuale. Il concetto è raggiunto metaforicamente, mentre l’inversione erode
le sue fondamenta. Entrambi, l’essenza e il suo contrario, sono dichiaratamente
un miraggio, non si afferrano se non tramite un fisico mezzo e solo per qualche
istante, per cui non si avrà che il tempo di veder affiorare il dubbio, non
certo lo sviluppo di una disamina. Nella costellazione, alcune coppie risultano
essere più frequenti: il tema del passato assume il ruolo di figura negativa
nel mazzo di carte, quella dei presagi
mortali che avvelenano l’avvenire, in quanto è sempre nel presente che non si
avverte a sufficienza la minaccia del
baratro. Tuttavia, nel pur tentato dialogo, passato e presente non trovano un
tavolo comune, la possibilità di uno scambio, poiché essi si presentano
indistintamente. Nella wunderkammer
di Mugnaini, dunque, assieme all’accumulo di oggetti materiali, c’è anche spazio
per la dispersione e la diffrazione. Il corpo è, al contempo, ciò che fonda/affonda
senza saldare nessuna coppia oppositiva. Oggetto fra oggetti, esso appare quasi
un’oasi rispetto ai dilemmi posti dalla mente, ma anche fonte di una impossibile
soddisfazione, ça va sans dire.
La stazione
Giunto in anticipo di fronte
a questa stazione, fermo,
senza aspettare alcun treno, non vorrei,
stavolta, che arrivasse alla mente
una poesia.
Vorrei che da quella porta rugginosa
dell'atrio uscisse trafelata la carne
imperfetta di te, accesa, sudata,
rossa di follia.
O, almeno,
su quel vetro polveroso mezzo frantumato
vorrei la pace assurda di un riflesso
di cui non conosco l'origine.
La quiete afosa
del silenzio.
*
* *
L'età più oscura
L'età più oscura è oggi,
il sole non scalda
l'aria ebbra di furori, la corsa nel petto
non si affianca alla strada, ai passi
di nani impettiti, alle rughe, all'attimo
passato come un grido, una voce che non ci ha
ferito né accarezzato.
Eppure il foglio che
abbiamo davanti è ancora
bianco, immacolato, quasi. Un dono, o forse
una sfida, o solo un segno, un indizio.
C'è, nelle cose, in questo niente che si eterna,
uno sbocco, una via di fuga, un inizio senza fine.
E nulla, neppure l'abisso di giorni e nottate,
dita lente di bambine che pettinano
orride bambole di plastica, potrà strapparci
al nodo vitale del dubbio, la corda del funambolo
o dell'impiccato, l'idea che il passato è un cappio
che non ci ha ucciso, ci ha lasciato ossa e fiato
per respirare, e un presente che non si cura
del tonfo nel baratro.
*
* *
La Storia, disse Stephen,
è un incubo
da cui sto
cercando di
svegliarmi
J. Joyce, Ulysses, cap. I
Segni scuri
Ci sono segni scuri di corpi su brande
basse e legni consunti di armadi
su cui è scavata l'impronta di dita,
risa, furia vana, richiesta di protezione,
miserie esposte alla polvere e all'aria.
Ogni impronta è la tua, aderisce
al petto, alle gambe, alla schiena,
è sudore, saliva sgorgata anche da te,
nel mistero di una foto sulla calce
di un muro, graffito che scivola rapido
confondendo futuro e passato.
Eppure non tutto è perfetto,
c'è un brandello di stoffa in più
o in meno, un chiodo tenace
lacera solo te, nitido, lucente,
imperscrutabile.
*
* *
Il non amore
Forse proprio quando comprendi meno
scorgi una chiave, ed è consolazione
sapere che niente si apre, nessuno
squarcio di luce; tace il mondo;
solo il tempo si muove assieme al sangue
intravisto in fotogrammi ingurgitati
assieme a un piatto di cibo che scordi
prima di averlo metabolizzato.
Tra foga e vomito, fame a apatia,
diventi silenzio che strozza senza rabbia
la parola, passato che non sai scacciare.
Perdi il senso dello sguardo, la mano,
il sudore. La voce si insinua nella gabbia
e la frantuma, bocca spalancata, schiuma
di folle che sa bene quanto sia amaro
il non amore.
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