Se si potesse
dire di un testo di Vernant che è un testo comico, lo si potrebbe dire solo pensando
al livello puro e altissimo, stratosferico, di raffinatissima ironia raggiunto
da Voltaire e che il malcapitato caduto sotto codesti appuntiti ferri, inoltre,
sia Freud è doppiamente gustoso. Naturalmente, Vernant non ha la
fantasmagorica fantasia, né l'arguzia irriverente e guascona, del filosofo
francese, ma con Freud il suo spirito si arroventa, s'indigna per tanta superficialità, muovendosi a inchiodarlo con argomentate prove;
senza scampo lo insegue fino a rintuzzargli ogni manchevolezza, non essendogli
più sufficienti le gigantesche, per avere osato tanto ardire nel foraggiare la
sua tesi con affermazioni arbitrarie.
Tutto parte con
l'iniziale assunzione che il mito di Edipo celi in sé un unico significato:
quello che uccidendo suo padre, sposando sua madre egli esaudisca il desiderio
presente nell'infanzia di tutti noi. Ora, il brevissimo testo dello storico,
nel tracciare gli errori compiuti da Freud nella sua pretesa di ridurre il mito
a un solo significato - sempreché poi esso sia esatto e non lo è come vedremo -
ci consente di poter anche ripercorrere quelle che sono le domande
metodologiche costantemente attive nell'analisi che Vernant effettua sugli
oggetti storici. La prima, fondamentale, é: in che cosa un'opera letteraria
appartenente alla cultura dell'Atene del V secolo A.C. può confermare le osservazioni
di un medico dell'inizi del XX secolo? Freud naturalmente non si è posto la
domanda perché per lui non costituiva un problema entrare a gamba tesa in un
dominio letterario e irrigidirne il portato semantico fino alla paralisi,
trasbordando, oltretutto, tale assunzione a garanzia di universale validità alle
sue teorie psicologie.
Ponendosi,
dunque, al di fuori di qualsiasi tracciato seguito dall'ellenista e dallo
storico, Freud si avvia a millantare come verità un'illazione, la quale,
appunto, non ha nessun fondamento. Sia perché la sua costruzione è ottenuta con
un circolo vizioso, in cui il testo è "interpretato con riferimento
onirico degli spettatori d'oggi" sia perché proietta sull'opera un senso
"indipendentemente dal suo contesto socio-culturale". Il che pone in
posizione antitetica la prospettiva freudiana e la psicologia storica.
Ricordiamo per inciso che la psicologia storica non costruisce né una
conoscenza dell'attuale universalizzato, né quella di una sola civiltà comune a
tutti gli esseri umani, né quella di una psiche globale.
Separare dunque
l'opera di Sofocle L'Edipo re dal
contesto storico, sociale e mentale in cui è maturata vuol dire snaturare
irreversibilmente il suo significato ed è esattamente quello che compie Freud.
Vernant, passando in rassegna i temi del sogno, della nascita e dell'apogeo del
teatro e della tragedia, la lingua, la differenza tra il piano umano e divino,
il senso tragico della responsabilità, delinea la complessità del testo
letterario in oggetto e dichiara
che se invece si procedesse, come Freud,
"mediante semplificazioni e riduzioni successive di tutta la mitologia
greca a uno schema leggendario particolare" con la pretesa, inoltre, che
il significato imposto a una valga per tutte, allora si costringerebbe la
materia leggendaria a piegarsi alle esigenze del modello psicanalitico.
Vernant smonta
passo dopo passo la macchina freudiana sino a giungere alla lapidaria
affermazione: "Ci sembra al contrario che le ragioni di Sofocle siano
estranee alla psicologia del profondo". Insomma, nessuna di tutte le
affermazioni freudiane, nella sua interpretazione del testo sofocleo, risponde
a una verità del testo, anzi lo storico francese dimostra che il testo è stato
bellamente travisato, soprattutto da Didier Anziau, il quale "tenta di
rifare, con i dati del 1966, il lavoro cominciato da Freud all'inizio del
secolo".
L'invito
conclusivo rivolto da Vernant: "si
potrebbe proporre agli psicanalisti di farsi più storici" è un'altra
massima da appendere sopra ogni lettino in cui si pratichi lo smercio
di universalizzanti verità. Insomma, Edipo
era un uomo senza complessi e questa la si può considerare una fra le battute
più folgoranti della storia del Novecento.
Rosa Pierno
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