La scena che si svolge su una spiaggia, i moti
atomistici o stellari che circondano i corpi come graziosi memento, le tracce
e le traiettorie che sono quelle delle parole lanciate come fossero strali
capaci di arpionare i pianeti: le poesie di Claudia Zironi paiono risalire dal
libro di Lucrezio e condensare il passato col presente, e al medesimo modo il
cosmico con il terrestre. Ma uno solo è il sentimento in grado di fare da
collante a questi eterogenei elementi e idee, di incendiare, di dare
propulsione: l’amore. Naturalmente, è un amore che quasi surclassa il proprio
oggetto e riempie di sé l’universo intero. Siamo comunque in presenza di
qualcosa che collassa, che non regge all’urto, altrimenti per quale ragione non
si resterebbe aderenti alla pelle dell’altro? Una profonda insoddisfazione
spinge a cercare un’armonia superiore, la ragione profonda dell’essere. Amore,
dunque, come origine e come approdo. Ma a quale stazione? E, in ogni caso, non
è l’artista che si rende simile al dio, ma colui che ama. La separazione dei
piani è una costante almeno quanto la consapevolezza che pensarli uniti,
coestensivi è un paradossale obiettivo. Forse, più dissipazione ha l’uomo in
sorta e più l’amore appare come lo
strumento atto a rimarcare l’anelito e lo smacco. Eppure, perdita e smacco
divini!
soli iscritti tra
raggi o soli
velati, tengo le scorze strette
tra brillamenti e derive dove
tu. siamo assoluti d'assurdo,
paradossi di condanne, amori
e ancora. rotiamo torno torno
all'asse
imperscrutabile, inverso. sei bello.
e unico ti sgretolo, traccio un solco
cavo, ti raggiungo sul confine
limpido
animale
***
nominami,
dì il mio nome.
poi pronuncia il tuo
poi pronuncia il tuo
un diverso dire propongo
scollegato dalla ragione
proprio di divino amore.
non ripetere od usare
bensì ex novo, dal vecchio
nominare.
***
utensili naturali
conficcati nella carne
siamo pure storia
d'un'evoluzione
che lascia inermi
spoglie sulle spiagge
lucore d'ossa
che sognano altre ossa
ché non possono star sole
a farsi sabbia.
***
parliamo di un'ontologia a un'ape
citiamo l’essere guardando il cielo
citiamo l’essere guardando il cielo
con un telescopio. pensiamo
a un dio che a propria immagine
crei un batterio.
guardiamo al tempo
se ne siamo capaci.
consideriamo l’etica e la morale
per la loro durata e il loro effetto.
contempliamo l’inesistenza
poi, produciamo arte.
***
sfuggendo alla
storia
aliteremo sulla
cenere scopriremo
veri corpi
arroventati nell'inerzia
saranno baci
statici a piacerci
senza uno scopo in
espansione
una meccanica
infinita, attorno a noi.
non ce ne accorgeremo.
***
davanti alle
vetrine Socrate
avrebbe saputo
cosa dire.
balbettando io ne
bevo
senza morire
d’aspra luce
di un saldo entro
le facce
degli automi. ma
tu prendimi
- che nessuno ha
davvero voglia
di esser solo –
prendimi,
portami nella
derisione
del tuo amore
oltre un dio
di morta plastica
e i manichini.
montiamo in vita a
una spiaggia
di ciottoli
roventi, stellari, scalzi
per danzare
ogni cara ipotesi
di salva distruzione
della razza. poi
restiamo lì,
penetrati, ceneri
abbracciate
come inerti,
frantumate ossa
per millenni, in felice dissipazione.
Nessun commento:
Posta un commento