Un libro
importante per la critica musicale è quello tagliente e fermo di Pierre Boulez Pensare oggi la musica, datato 1979,
capace di rispondere non soltanto alla
domanda su quale funzione debba avere la critica, ma a quella molto più scottante
di quali oggetti e con quali modalità la critica debba svolgere il suo compito
e il compositore fondare il proprio oggetto estetico.
Se, Considerazioni generali, può considerarsi
capitolo introduttivo a tratti giocoso, l’ultimo, Necessità di un orientamento estetico, vede calare un netto colpo
di scure su imprecisioni e posizioni dimidiate, portando a isolare nella radura
così disboscata, l’indissolubilità di forma e contenuto e cioè tra tecnica e
concezione estetica e mostrando quanto non si possa dare nell’opera compiuta
nessuna struttura che possa da sola esautorare il prodotto creativo senza al
contempo considerare il senso della operazione che si sta attuando.
Non è banale
tale assunto, il quale, fra l’altro, traina con sé una serie di corollari che
definiscono il ruolo del tutto fuorviante della spontaneità e dell’istinto, di
matrice romantica, contro la riflessione
mentre si caldeggia una ragionata adesione a un posizione teorica scelta
con ponderazione. Non si può aderire per la sola forza di una preferenza
emotiva a una tecnica di cui non si sia preliminarmente sceverata la validità
formale e altrettanto vale per la posizione estetica.
La
realizzazione, dunque, come rapporto di pensiero e tecnica, che Boulez vede
vacillare nella produzione dell’epoca, aperta a uno sperimentalismo privo di
costrutto o troppo assecondante rispetto alla vulgata del momento. Il
compositore fa esplicito riferimento all’assunzione all’interno della tecnica
musicale delle caratteristiche di altre discipline, la quale mostra quasi una
sfiducia, in alcuni, per gli “aspetti morfologici” o un’allergia a ogni
concetto estetico, in altri. La scissione fra forma e contenuto, presente a suo
avviso in molti suoi contemporanei, provoca per Boulez danni irreparabili.
Nemmeno la
storia riesce a vagliare esiti maggiormente validi: “L’aggressività dello
sguardo storico rende poco; si riduce spesso a giudizi umorali,
psicologicamente interessanti ma privi di generalità: destinati dopo tutto a
rimanere <>!”. Occorre “riconoscere che l’ascendente
di certe opere, di certi compositori non è forzatamente immediato”. Analogamente,
non è possibile avere la consapevolezza di tutti gli aspetti del presente anche
nel momento in cui lo si sia abbracciato nella sua totalità, per ciò è d’uopo
un processo elaborativo che verifichi la validità di taluni elementi in
relazione alla propria attività.
I procedimenti
di scrittura musicale sono mezzi “perfettamente adatti all’invenzione di un
dato compositore”. È necessaria “una conoscenza reale delle leggi grammaticali
alle quali obbediscono” al fine di non cadere nel manierismo. “Qualsiasi
riflessione sulla tecnica musicale deve trarre origine dal suono, dalla durata,
dal materiale sul quale lavora il compositore”. E come esempio, Boulez afferma
che non vi è alcuna garanzia che certe forme di permutazione matematica o di
forme cifrate – le quali forniscono una
guida rassicurante, ma non creativa – abbiano
validità qualitativa se immessa nella struttura sonora. Allo stesso modo
denuncia carenza immaginativa in chi introduce concetti filosofici all’interno
del fatto sonoro. Soltanto “la padronanza del linguaggio implica una conoscenza
tecnica approfondita” al fine di dominarlo e non soltanto di fornire idee al
suo impiego.
La musica
merita “un campo di riflessione che le appartenga in proprio”. Gli apporti
esterni possono funzionare per analogia e “non con un’applicazione letterale
priva di fondamento”, pena il ricadere nell’arbitrario. Il fenomeno musicale se
richiede un pensiero specializzato, richiede altresì l’analisi del suo stile, tenendo
ben presente che è pressoché impossibile “voler analizzare in un unico modo il
processo della creazione”, il quale, fra l’altro, necessità della
giustificazione collettiva.
Boulez
affronta vari nodi teorici: il problema della tradizione, del dialogo tra
ragione e passione, del ruolo fecondo del dubbio e del sostegno appassionato
alla ricerca, accendendo poderosi fari sul “potenziale di incognita racchiuso
in un capolavoro” e sulla necessità di uno specifico pensiero musicale.
Rosa Pierno
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