Le considerazioni
che oggi riguardano l’equilibrio o la supremazia del potere, declinato secondo i
concetti di consumismo, massa, civiltà globalizzata con i suoi luoghi di
esercizio, il supermercato, e persino il privato, rispetto all’autonomia del
soggetto, sono rivoltati e rinnegati da un Gilberto Isella incoercibile
all’appiattimento del singolo, alla sua supina definizione, in quanto ben
consapevole dell’impossibilità di addivenire a una soluzione delle
contraddizioni con termini che saldino le coppie antinomiche, convinto, anzi,
dell’assoluta necessità di negare tale soluzione. Nella contrapposizione di origine/meta,
individuo/società, trascendenza/immanenza, sono conservate e anzi innescate le
potenzialità dello scontro, secondo la direzione percorsa da Adorno in Minima Moralia. Un libro, L’occhio piegato, dunque, etico, con una forte propensione
costruttiva.
Se persino il
glabro petto di un volatile può dar luogo alla stura del vaso poetico, ci sentiamo,
leggendo, affrancati dall’universalità del concetto di globale. Come vasi
comunicanti, il travaso dalla voce poetica all’afflato partecipativo del
lettore si rivela catartico: valga come prova che se la poesia non cambia il
mondo, non gli consente nemmeno di sedere sugli allori. Nessun luogo è quello
che sembra. Il valore della percezione è già valore creativo. Persino
stimolante: nei freddi corridoi delle merci ordinate sugli scaffali si aprono
porte di plurime dimensioni, dove il potere della mente resiste a ogni
oltraggio e a ogni passo mette a punto strategie di diffrazione, strategici
scarti dal consueto. Le merci, poi, sono
traini di veri e propri viaggi sensoriali che affiorano sullo specchio della
coscienza di sé, proprio a dispetto e sullo sfondo del degradante luogo: “Da stoccaggi l’arte evacua asprezze / vagheggiandovi gli
alvei del miele / / Nel balsamo dondola
la tigre / per un velo che sente tracimare”. Il poeta crea una collisione/collasso tra merci impilate e
certe installazioni di arte contemporanea mostranti l’estrema omogeneizzazione
dei linguaggi e se ne appropria per creare un luogo inusitato in cui la merce
appare cambiata di segno. Non è solo critica, al modo in cui siamo abituati
dalla scuola di Francoforte: è un atto creativo, quello stesso che se Adorno
non poteva proporre fino in fondo a causa del fatto che pensava che l’arte
fosse una sovrastruttura e che quindi non potesse cambiare lo status quo, Isella invece propone: atto
creativo inteso nel suo potenziale fattuale, e quest’ultimo accostamento non
sembri utopico. L’arte cambia le cose, perché cambia le prospettive
interpretative da cui dipendono i nostri atti, la nostra disposizione verso il
mondo. Non si tratta semplicemente di astrarre, nel passaggio di scala tra individuo
e società, perché il quid che si perde è esattamente quello che non può essere
tenuto sotto controllo. La funzione del poeta-intellettuale è questa: allargare
la frattura, mostrare l’inconciliabilità dei concetti presi dal lato del
singolo e dal lato della collettività e servirsi di entrambe le sponde per
puntare i piedi e darsi lo slancio, ricreando ogni volta una nuova pedana di
scontro.
L’uroboro
clientesco
accerchia la
casa e ringhia
Consegna
macerie di muscoli al taglio
Ma la coda è a
sua volta circondata
da una cinghia
che in monitor s’allunga
e ha gli occhi
di bue dell’erbavoglio.
Credere
soltanto a una contrapposizione è letale: i concetti sono innestati l’uno
nell’altro, frastagliati e intrecciati al punto da risultare indistinguibili, eppure,
ciò nonostante, antagonistici e irrisoluti. La polimorfia è insediata nel cuore
stesso del processo d’interpretazione del reale: ‘succiaromi’,
‘beccuzzato’, ‘similbianco’, e riverbera
i suoi effetti nelle ulteriori due sezioni de L’occhio piegato, imperniate una sulle banche, Migrante in Ade, e l’altra sulla libido censurata: Censuralbe. Il linguaggio più algido, costruito con
apparente logica (“geometrica legge è neutrale stilema”) o simbolico, avendo
avuto cura di svuotarne il senso (“rostro del salmo / punteruolo // lì si
smarrisce l’accordatore”) rende palese che il linguaggio è, appunto, strumento
essenziale nella lotta a una lettura dogmatica e rassegnata.
Prima che
l’arco d’angelo
Abbandoni il
palato
Uno sperone
d’ombra
Deformi il vagíto
Risuona l’eco
delle parole di Benjamin, che avevamo già ritrovato nel tema della
merce-feticcio, nella sua subdola e poliedrica valenza, in cui l’immagine – e si ricorda che la poesia di Gilberto Isella è
essenzialmente visionaria – ha un ruolo
interscambiabile nel processo di ricreazione del dato reale. E’ strumento di
riassemblaggio. Non solo, dunque, le
parole aprono le cataratte del cielo semantico, ma anche le immagini fungono da
meccanismo che fa scattare serrature: “Da sempre n’importe où / sotto vuoto
l’immagine / la rete sua vinta / l’oculo a pieghe”. Non
distante quello sfondamento del finito che Giordano Bruno aveva inaugurato e
che trova esplicita citazione nei versi, quasi una spolverata che indora il
tutto coi suoi venefici strali: “inabissi
la bestia nella luce”, “e la bestia vola”
e che vale come dichiarazione di poetica: l’immaginazione può tutto e il
contrario di tutto.
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