Nelle
trame ottenute o rappresentate per via
scultorea, con l’inserto di oggetti quotidiani su vassoi sovrapposti, il gioco
è ancora quello della sovrapposizione/connotazione di molteplici ramificazioni
semantiche, ove la linea nera tracciata sul piano vitreo di ciascuna mensola dice
‘segno’ per via difettiva, ricordandoci in John David O’Brien, artista
americano di formazione italiana, ritorna a Rom, fra compagni di strada e
maestri in un omaggio che è tanto grato quanto generoso. Se, dunque, su una
delle pareti della galleria si possono ammirare le opere di Bentivoglio, Botta,
Calavalle, Colazzo, D’Alonzo, Napoleone, Porcari, Predominato e Strazza, come
di Adest, Habenicht, Hudson, Santarromana, Ripple, Roden, Tse, Wedemeyer, che
in mirabile colloquio formano una ragnatela di rimandi e suggestioni con le
opere di O’Brien, dall’altra rimarcano anche, inevitabilmente, la specificità dell’opera dell’artista
americano.
Dalla passione
per l’incisione o per il segno ossessivamente perseguito, quando si tratta di
riprodurre una carta urbanistica, si passa alla derubricazione di tale tecnica o
della cartografia con un atto inequivocabile, significativo di per sé, perché
del segno, O’Brien traccia fin da subito, non il suo grado zero, ma la
moltiplicazione del significato. Così le trame del senso sono quelle realmente
rappresentate, ancor più di quelle del significante, il qualetal guisa che il
segno vive di questa doppia natura di
veicolo del senso, spesso non avente di per sé spessore o materia. A riprova,
piccole sculture volanti (metallo tagliato col laser) testimoniano del triplice
gioco istituito tra figura, pieno/vuoto e ombra proiettata. Apparendo evidente
che le determinazioni denotative, così
bellamente sparse, a loro volta si affidano per la loro fissione a uno
spettatore non ingenuo, che ama essere
sorpreso e divertito, poiché meraviglia non vuole separarsi da arte, in gioco
effettivamente colto e avvertito.
Una
disposizione che si coglie anche nelle affascinanti opere che replicano le
piante urbanistiche di famose città (Napoli, New York, Roma, San Diego),
interamente tracciate con un rapidograph, ma dove il segno generatore è una
sorta di quadratino che assemblato in varie disposizioni mima le diverse realtà
metropolitane. Qui, il gioco scoperto della mimesi è sabotato: la pianta è solo
apparentemente rappresentativa della realtà della città. L’assemblaggio/lego è
una sorta anch’essa di accumulo e dislocazione variamente distribuita: se ne
ottiene un senso, ma non è quello giusto, non, almeno, quello canonico! A
correggere l’impressione, intervengono piccole sculture giustapposte che
potrebbero essere le superfetazioni tecnologiche di un futuro di là da venire o,
allo stesso modo, elementi che non necessariamente possono essere attribuiti a
un intervento urbanistico: in fondo, il segno palesemente si accompagna con
ghirigori colorati: macchie che di quel segno divellono il significato e aprono
al gioco linguistico.
Rosa Pierno
dal 22 ottobre al 16 novembre 2015 in via
Principe Eugenio 60, Roma
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