venerdì 26 aprile 2013

THOMAS JONES (1742-1803)



Nonostante palazzi di Napoli siano poco più che uno schermo forato,  a volte caseggiati disabitati o facciate scrostate con lenzuola al vento, olii su carta li catturano come fossero vividissimi oggetti e lucenti. Il verdastro tufo, nella parte non soleggiata, rabbocca il verde scuro dei limoni. E cielo, pur implacabilmente azzurro, ne riflette le verdi assonanze. Quando facciate siano direttamente colpite da un cocente sole, il tufo par che si sciolga, liquefacendosi e trascinando la verde muffa delle piante abbarbicate negli anfratti.

In altre carte, facciate intonacate, una a ridosso dell’altra, tracciano un antico affresco di grigie gradazioni, poiché gli intarsi di pietra vulcanica sulle soglie dei balconi, delle finestre e dei terrazzi, connotano la città come un geologico reperto.

Muro di Napoli è muro che non è uguale a nessun altro muro. E’ caldo e freddo insieme. Il suo colore tufaceo è gravido di una sfumatura verdastra per la presenza, nella corte, di alberi di limone e fichi. Ha imposte irrimediabilmente chiuse e panni stesi ad asciugare azzurri e verdi, in studiato accordo al cielo e alle piante.


Golfo quasi non si riconoscerebbe - sebbene l’allampanata sagoma del Vesuvio e i pini e la baia forniscano tangibile riscontro - a causa dello svenevole cielo che stende sull’intero golfo un torpore, il quale ogni altra tinta spegne.  Deve essere per  l’afa che nemmeno se sono immersi nell’ombra consente ai colori di rinvenire.

E’ appena uno scoglio con una sola casa: quella del re. Si trova dopo l’insenatura di Trentaremi, nel golfo di Napoli, ma non sempre è dato d’incontrarla: forse dipende dalla direzione da cui si arriva o dall’ora. Quando il sole è accecante, Gaiola diviene una pellicola lattiginosa che si muove sull’acqua. I colori in primo piano sono quelli fondi e gelati delle cose cadute nell’ombra e anche la barca che solca le acque lascia alle sue spalle una persistente scia nera, a riprova che lì, dove tocca, l’ombra attecchisce come catrame. Il resto della piccola baia, prospiciente l’affiorante roccia, però, è chiara, quasi evanescente, e la minuscola isola non ha nulla di familiare. Nuvole, poi, scorrono dando man forte a una visione refrattaria allo sguardo per sua stessa natura.

Sole arroventa le facciate di tufo, le surriscalda fino a renderle fumiganti. Pertugi, luci, finestre, balconi non servono a mitigarne la bollente temperatura. Persino quando l’ombra riesce ad agguantare una facciata, il colore arroventato non si raffredda.


“Il promontorio di Capo Miseno da Monte di Procida”. Pur  pullulante di gente e di animali, di imbarcazioni e di palazzi, di frasche e di cirri, golfo, non accoglie l’azzurro smalto del cielo a causa di una preminente acidula emanazione di giallo paglierino. 

“Veduta di tetti a Napoli”. Ha ritratto la casa intonacata di bianco e cariata da finestre nere. L’intonaco è sporco di muffa e di umido. Dietro si solleva un cielo che è quasi un sipario, privo di profondità, incattivito da sordo, ferragno grigiume e insolentito da protervia. 

“L’entrata della Grotta di Posillipo”. E’ discinto ventre, esposto a ripide lumeggiature, a intemperie e alla tracotante rapina di aridi arbusti che succhiano senza sosta l’umidità dalla pietra. L’antro è mitigato solo da indaco intenso, quando cirri lo coronino di prezioso svolazzo, ma se il sole batte sul tufo, allora vi si riversa oro puro che sguardo rapina.

“La costa vicino Vietri”.  Il paesaggio ha essudato, ha espunto da sé ogni ricordo timbrico, presenta  solo tracce di estenuata vita, dopo una giornata assolata. Nell’istante rappreso sulla tavola, il crespo susseguirsi di chiazze opache e lucide sull’acqua racconta che la barca di pescatori sta tornando a riva sotto la rabbrividente ombra di uno scoglio scuro.

“A Sorrento, le rocce”. Lì dove il cielo è blu cobalto e le grandi masse acquoree, appena segnate nel contorno, sono zavorrate da un cilestre pallidissimo, e la costa priva di vegetazione  si mostra senza pelle, s’intravede il liquido cobalto di un motile mare. Sarà solo l’ombra ad aggredire le rocce, a scurire le onde con riflessi metallici, a renderla un indomabile scriteriato susseguirsi di ocra e di grigi.

                                                                      Rosa Pierno

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