La brevità non fa bene all’amore: è risaputo; nemmeno quando l’amore è in forma testuale, com’è il caso di “Sull’amore” di Jean-Luc Nancy, Bollati Boringhieri, 2009. Il conciso testo ci sembra aprirsi alle contraddizioni esistenti fra le varie componenti che concorrono a definire ciò che nella nostra cultura chiamiamo amore, anche se Nancy ne individua soltanto due come significative: l’eros e l’amore cristiano. E in maniera perentoria ne sancisce l’incompossibilità, la non integrazione, la reciproca, indeclinabile estraneità l’una all’altra, salvo poi, nello svolgersi del testo, cercare una mediazione, augurandosela, nella nostra epoca, ove i rapporti amorosi sembrano ridursi in ragione degli egoismi o delle convenienze, della velocità e della casualità, provando anche a indicare una percorribile via, magari utopica, magari tutta da inventare, per risolvere il dilemma: è possibile una sessualità duratura in un rapporto matrimoniale? Nancy propone, dunque, un’integrazione tra logica del desiderio e affettività orientata al bene.
Un’avvertita filosofia ci ha insegnato, nei suoi esiti più lungimiranti, che dobbiamo guardarci dagli errori filosofici. Compito di tale filosofia è, dunque, quello di sventare la possibilità che sulle molteplici forme dell’esistenza calino le griglie categoriali di presunte verità assolute, mentre è importante rilevare che le verità sono frutto di processi storici.
Eros e amore cristiano sono prodotti culturali e non già i due unici modi in cui viviamo l’amore: nella vita, infatti, hanno già luogo tutte le intersezioni e le osmosi possibili tra le diverse possibilità e concezioni dell’amore - e non vorremmo qui tirare ancora in ballo l’esempio classico dell’Estasi di Santa Teresa del Bernini, (1647-1651), che di mediazione tra eros e amore cristiano aveva già mostrato la necessità - comprese quelle non ascrivibili a nessuna delle due categorie indicate. Ma questo vale per qualsiasi cosa che si voglia restituire nell’interezza della sua complessità, anziché svuotarne i relativi concetti fino a renderli vacanti.
Unire i due corni della questione, credendo che si possa per via teorica creare una terza categoria comprensiva dell’intersezione delle prime due e prescrittiva, ci pare la solita proposta, la quale non mette in discussione i metodi con i quali si vorrebbero eliminare contraddizioni e ridurre le incongruenze riscontrate nella realtà. Insomma, sezionare l’amore in tranches secondo suddivisioni categoriali sembra non convincente né efficace. Né soddisfa la creazione di nuove mediazioni fra tali categorie, via storicamente già esplorata.
Se in amore sono presenti desiderio e ripulsa, fedeltà e tradimento, egoismo e generosità, spinte costruttive e distruttive, crediamo che ciò debba essere oggetto di un discorso chiarificatore, critico, che abbia come obiettivo quello di svellere le categorie stagne in cui richiudiamo l’esperienza, consentendoci di accettare in pieno le contraddizioni che ci abitano.
Rosa Pierno
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