Del genere diario di viaggio, questo libro di Bernard Berenson “Viaggio in Sicilia” Abscondita, 2011, conserva tutti gli elementi: la casualità delle annotazioni, la rapidità dello schizzo, la sintesi lapidaria, la nota di colore locale, l’asistematica registrazione di ciò che vede e che viene trascritto solo se ritenuto di personale interesse. Ma vi è di più: Berenson aveva già compiuto un viaggio in Sicilia nel 1908 e il nuovo viaggio, effettuato circa quarant’anni dopo, viene messo a confronto con quei ricordi. Non solo quindi una trascrizione rispetto a ciò che lo colpisce e che trova meraviglioso, inusitato o orrido, ma anche rispetto a ciò che trova cambiato, che non coincide, che non gli dà le medesime sensazioni di allora.
E ciò purtroppo accade spesso, perché le cose cambiano e, a volte, in senso peggiorativo, se l’incuria e il cemento invadono persino i siti archeologici per non parlare della devastazione territoriale nel suo complesso. Il raccapriccio e la nostalgia per il patrimonio artistico e paesaggistico così assediato diventa nostro: è questo che mettiamo a fuoco e con un chiarezza che forse non abbiamo quando esperiamo nel quotidiano il nostro paese. Ma innegabilmente affascinante è la zampata del vecchio leone che si divide tra scherno e tolleranza, tra sedimentata saggezza e impeto giovanile.
E’ il caso di quando getta un velo di sdegnata prebenda sui comportamenti chiassosi e viscerali degli indigeni o quando stigmatizza con precisione lo strano comportamento di Goethe, che pur dotato di indiscutibile genialità non mostra alcun interesse per gli aspetti estetici, tutto intento com’è a osservare le piante e i minerali: “Un genio come Goethe, così grande eppure così limitato nei suoi interessi per le arti visive! Esprime, interpretandoli magnificamente, solo quelli caratteristici dell’epoca e dell’ambiente d’alta cultura, in cui aveva vissuto fino alla partenza per l’Italia”. Così l’indifferenza che Goethe mostra per le statue della villa del Principe di Patagonia o per il Duomo di Monreale o per la magnificenza dei panorami è cosa il grado di gettare una luce che illumina lacune nella cultura dell’epoca in cui quell’uomo di genio viveva: “Dunque, non solamente la parte dedicata alla Sicilia, ma tutto il viaggio in Italia dimostra come anche a un genio della statura di Goethe non fosse concesso di sfuggire ai vincoli del proprio tempo. Invano ci riteniamo in grado di guardare, di vedere e di apprezzare tutto sulla terra. Persino i più superbamente dotati tra noi non possono mai sopravanzare di molto quanto ci fu insegnato a comprendere nel corso dei nostri anni di formazione”. Ritorniamo, dunque, all’oggetto di questo diario di viaggio: la Sicilia. Innanzitutto, questo non è un libro di critica storiografica, non ha la sistematicità di certi diari di Cesare Brandi in cui si enuclea in maniera sintetica l’arte di una nazione o di un periodo storico (Diario Cinese, Verde Nilo, ecc).
Quello di Berenson è il diario dei suoi amori e delle sue idiosincrasie, dove l’oggetto Sicilia è pretesto per esprimere la complessità e la ricchezza raggiunta durante un’intera vita di studio e di riflessione. E dove i monumenti vengono considerati in relazione al paesaggio in cui sono immersi. Si riporta ad esempio, la prima apparizione del tempio di Segesta dalla strada maestra, ove da quel punto “appare troppo piccolo per influenzare con l’ordine della sua struttura architettonica il paesaggio circostante” mentre da vicino “l’opera produce una potente impressione, che afferma il raziocinio e l’intelligenza chiarificatrice dell’uomo tra le forme confuse, l’indifferenza e l’anarchia della natura”. In ogni caso, la percezione e la sensibilità estetica sono il sine qua non di ogni esperienza esistenziale. Ed è anche vedere quanto soggetto e oggetto si scambino potenzialità e risonanze, poiché Berenson funziona come cassa di risonanza e la Sicilia come archetto.
Rosa Pierno
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