lunedì 13 agosto 2012

Gio Ferri “Fantasmi d’Arcadia”

L’amore appare tema inesauribile. Nella poesia “Fantasmi d’Arcadia” di Gio Ferri, però, accade che si giochi più scopertamente non sui due versanti del realismo e della rappresentazione, ma invero solo dalla parte del gioco linguistico, dei modi di dire l’amore e per questo farlo esistere. Rilanciandolo e ritrovandolo, intatto o sognato, l’amore immaginato sarà per questo vissuto. Qui si consuma pure la flebile cartilagine dell’esperienziale, che dà da conoscere solo il caso singolo volta per volta. Non possiamo conoscere l’amore in tutte le sue possibili declinazioni: non possiamo conoscere che quel che viviamo, eppure, il linguaggio porta con sé la collezione di tutti i possibili stati dell’amore e consente di ricrearne ancora. E’ necessario usare il linguaggio da demiurgo, piegarlo e sfondarlo, renderlo malleabile alle esigenze di un’espressione che si declina assieme al suo strumento,  la cui volontà si precisa assieme alla forgia dell’oggetto che si sta modificando. La grande polifonia di questo testo è data dalle linee che lo percorrono e che sono prelevate dalla tradizione, non appartenente a un solo periodo né a una sola cultura, le quali consentono di introiettare, e  tutto d’un fiato, ciò che l’amore è ed è stato e che si configura così in astanza sulla pagina. Non se ne otterrà la collezione di tutti i possibili stati dell’amore, ma si descriverà un solo amore che si nutre di risonanze altrui, ove sonorità e senso scelgono e filtrano. Un amore unico, ma che ha esperienza della storia dell’amore.
Sono le parole a costituire la motivazione della visione, il motore della costruzione, la ragione dei concetti espressi. L’amore sarà in questo modo viaggio iniziatico, collezione, molteplicità dei punti di vista. Sarà il poliedro dalle mille facce, quello che non si riesce a visualizzare. Ancor più della dispersione del soggetto, che postula l’impossibilità di definire un’identità,  l’amore rende refrattari alla definizione, aperti e plasmabili, attraversati da un flusso irrefrenabile di visioni: in una sola parola: dalla lingua. Non ci si faccia dunque frenare dall’immagine della morte, inevitabile alter ego di ogni transuente stato. Anche di tale stato che minaccia di interrompere il vitale flusso ci si deve fare carico, ma forse solo per poterne scrivere.
 


Fantasmi d’Arcadia

Io mi vorrei che queste tue mèmori storie
di pètrule levighe e sparse fossero in una sola mano
raccoltie così unque eddove diversi prolifici semi
segni arsi e vitali infinitesimi d’ore dolenti e felici
et oracoli di spemi rupestri eppur ancora carezzevoli
così ancora sulla rupe teniamoci – che tu non temi
ed io non m’abbandoni ad astanze colpevoli narcisi egoismi
dolcezze effluvii d’abbondanze inusiti ai sensi comuni
sprecati e disutili ai bàratri inviti ai volupti richiami
e canti vani e manieristiche nautiche peregrinazioni.

Scorrono pètrule – appunto – per queste stanze
carnali e cercano i tuoi spazi minuscoli d’un giorno
d’un’ora ond’io orora m’appresto a sfiorare le impronte
a rimirare il fermo ricordo qui là dove stai e come sai
una ciottolina il bicchiere una seta un sedile un
libercolo smarrito sìmule traccia di sguardi dolcidui
e lontani e inani risorse d’amore.

Le bateau s’amuse sciaborda indefinite istanze
ansioso àlbatro ivre ai bagliori sènsili crede immagini
prènsili alla carne consuma residui d’angosce e non
prova  - risente quantunque il canto di quella attenzione
tua sottile umana tanto quanto disumana d’assenza –
quanto lontano è questo giorno – oggi – questo mormorìo
d’acque prolifica rivelazione d’istinti unici – noi -
quanto – io - rivoglia un poco totale disponibile la tua
inobbligata fedeltà così che si disvelino à rebours
meraviglie oceanine feste sull’acque giovinette grida
e lasciti generosi rigeneranti quand’io più
che segnali pretenziosi e immeritevoli altro non dia.

Ma tu uccello-donna pacatamente ascolti generosa
risposta proponi e ciascun dimentica il dolore
invano poiché il volo ampio è muto finché non lascerà
insincere fredde captive classiche scenografie
finchè alle improbabili rive d’Arcadia non s’arresterà
atona e silente la notte degli archi.

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