Dalla silloge di Mario Quattrucci “tre poemetti in forma di prosa” emme qu copicad 2012, estraiamo la poesia “La flagellazione” – che è parte di un poemetto intitolato “Una cronaca”* dedicato a Gramsci o piuttosto all’incontro/rapporto con Gramsci. Oggetto della poesia è il quadro “La flagellazione” di Piero della Francesca che ci sembra ripercorrere il trauma causato dallo iato tra rappresentazione e realtà storica, dove tale discontinuità è accentuata dal fatto che vi si adagia lo sguardo del poeta, il quale deforma la trama del senso come appunto farebbe un trapezista che sia sceso sulla rete di sicurezza per raggiungere il suolo.
Nel quadro confliggono una ragione che tutto vuole ordinare e spiegare, e che viene identificata nella calibratissima struttura architettonica che separa eppure connette i personaggi presenti nel quadro, e le motivazioni dell’uomo flagellato “d’altra fonte illuminato”. Dunque l’ordine astratto, il potere sub specie aeternitatis, che viene a collidere col tempo storico e con le ragioni del cuore. Punto cardine intorno a cui la poesia si snoda è il giovane a piedi scalzi. Alcuni storici credono di poterlo identificare in Oddantonio, il fratellastro e predecessore di Federico da Montefeltro, il quale verrà ucciso in una congiura a diciassette anni e il poeta, sebbene si senta stanco e invecchiato, si rispecchia nella sua eterna giovinezza fino a identificarsi, azzerando qualsiasi distanza temporale, e ponendo tutti i rappresentati e se stesso su un medesimo piano, in un medesimo spazio.
La triangolazione con il personaggio seduto sul lato sinistro della scena, il quale sta guardando verso un punto esterno al quadro, consente al poeta di rilanciare la questione irrisolta/irrisolvibile di un fruitore che, pur irrimediabilmente esterno alle vicende rappresentate, le sente come che se il tempo si fosse contratto sulla superficie del quadro, e lui vi fosse rimasto invischiato, irretito e costretto da questa non usuale collocazione a interrogarsi sul suo tempo attuale. Va da sé che l’interrogazione nata da un’identificazione così appassionata e insolita resti enigmatica ed è sicuramente questo il viatico migliore per porsi dinanzi all’arte senza rinchiudersi in nessuna definizione concettuale, come Quattrucci ci consegna con ineguagliabile saggezza.
*Segnaliamo che il poemetto “Una cronaca” è presente nel volume “Da una lingua marginale” Robin Edizioni
La flagellazione
convenerunt in unum. E da lì discosto
– serrato in bianche architetture in ferree
prospettive vincoli solenni multipli
della ragione architettante al centro
del palazzo innanzi al trono indifferente
complice al mandante ignoto (ma
ne conosci le vesti il portamento ) sotto
al braccio dell’idolo (proteso
l’ideologico braccio il globo nella mano)
da luce d’altra fonte illuminato – l’uomo:
il povero Cristo il flagellato irriso l’ecce
homo guardato sorvegliato a vista in spine
incoronato e sempre in ogni tempo figlio
del suo sociale umano ed istorico stato.
ma chi è qui in primo piano sul piano cioè
che primamente coglie il nostro
occhio contemporaneo il giovane sbiancato
di imminente morte chi è se un’immanente
morte lo tiene vanamente angelico e dotto
non sensibilmente veduto non presente
corporalmente e quasi ignudo
nella sua rozza tunica amaranto
scalzo come si addice a un’anima non nuda
memoria a un richiamo d’affetti chi questo giovane in cui
malgrado le nostre rughe e gli anni così evidenti
del nostro corpo della nostra caduca mente
ci sentiamo ritratti tu io che guardiamo e tutti
noi che nascemmo in quel vicino mille
e ottocento quaranta o meglio quarantotto o forse
più verosimilmente nel mille novecento e ventuno
e dunque ancora sul limitar già tratti
a un'astorica morte tu io uno
qualunque di costoro che nascenza o scelta
ai flutti di ferro di passione nei marosi
e secche del secolo ventesimo gettarono?
non parla né sente non può intendere (se anche
ascolta seppure attende
che scenda ancora da parole un chiaro
un fiotto di futuro) è solo è bianco nel suo puro
esserci non essente(un mito) al centro
dei gravi convenuti.
l’altro a sinistra il saggio in abiti solenni
invita: dirumpamus vincula ma guarda
grave fisso anche lui nel punto che oltre il tempo
fuori da quel suo spazio (e nostro) si raggruma.
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