Naturalmente, si legge il testo di Shitao “Sulla pittura” Mimesis, 2008, guidati non solo dall’interesse per la comprensione dell’arte orientale, ma anche da quello per l’arte occidentale. Tale confronto comporta a cascata sia l’ampliamento delle categorie con le quali canonicamente valutiamo l’arte sia la comprensione dei contenuti concettuali con i quali riempiamo questa parola. L’arte è oggetto storico, varia nel tempo, ma è diverso anche rispetto allo spazio geografico. E vedere in quali modi si è declinata questa opportunità dell’espressione umana può farci comprendere meglio che cosa possiamo ottenere con essa. Se, inoltre, come rilevato da Melandri in “Contro il simbolico”, Quodlibet, 2007, per la metafisica, la cultura occidentale ha semplicemente ignorato gli influssi della cultura orientale, risulta invece imprescindibile valutare anche, secondo il recupero tentato da Jullien, modalità diverse dalle nostre.
Anzitutto colpisce che in Cina l’estetica e la bellezza non vi abbiano alcuna funzione rilevante, ma siano immerse nella definizione dell’uomo colto, il quale non è mai solo pittore, ma anche poeta, letterato, filosofo. Al di là del fatto che ciò elimina la questione della contrapposizione tra conoscenza filosofica e arte così come l’abbiamo ereditata da Platone, ciò ci fa comprendere come tutto ciò che inerisca all’uomo sia considerato come un’unità separata e congiunta al tempo stesso: i principi sono opposti e complementari e mai è possibile innalzarne uno come superiore rispetto agli altri. Ciò consente di non perdere mai di vista la complessità dei fenomeni e l’integrità della umana capacità elaborativa (dai sensi alle emozioni, dall’intuito alla ragione).
Ci rendiamo conto, mentre leggiamo, che è come se ci trovassimo in un’altra dimensione, in cui la prospettiva si costruisce con tre coincidenti e diversi punti di fuga: il paesaggio vi viene rappresentato come se “fosse dotato di tre orizzonti, uno in alto, uno in basso e uno a circa metà”. Lo schizzo è il modo che meglio consente di cogliere il qi, l’energia vitale di un elemento: esso ci fa cogliere sia l’apparenza sia l’essenza. E, ancora, il disegno, in cui la linea non chiude mai, afferra una forma in divenire, volontariamente si disperde per conservare la mutevolezza delle forme e il vuoto, che non è mai fondo, ma spazio generatore, entrando a pieno titolo nella formazione di tutte le cose.
La pittura cinese non separa singolarità e astrazione. Ci troviamo, appunto, in un regno che si oppone a quello occidentale, poiché il mondo fisico e sensibile non è separato da quello ideale. Marcello Ghilardi, nella sua efficacissima introduzione, stigmatizza che il nucleo della teoria dell’arte cinese: “non procede da un’ontoteologia, né separa il mondo fisico e sensibile da quello metafisico” impiegando uno stesso termine “per indicare tanto l’immagine quanto il fenomeno”: visto che “il pensiero cinese non ha giocato la scommessa dell’Essere e non ha concepito la realtà se non in mutamento”. Non vi è, conseguentemente, “un’opposizione netta tra essere e non essere, tra sensibile e sovra sensibile” ma un rapporto originale tra “il cuore-mente-spirito dell’essere umano e la natura”, tra particolare e universale, tra microcosmo e macrocosmo.
La continuità “tra piano sensibile e piano intellegibile” consente di considerare ciò che è visibile come manifestazione del non visibile, mentre viene considerato un errore tutto ciò che fissa il reale in una figura immutabile. Anche la nozione di arte è distinta da quella della tecnica, che in Cina ha il significato di sviluppo della persona, sia come abilità sia come forma d’ espressione. L’atto del dipingere e dello scrivere sono le discipline più onorate del mondo cinese. Come ci indica Giangiorgio Pasqualotto nella sua attentissima prefazione, i tipi di utensili (pennello, inchiostro, carta, seta) non sono affatto da tenere in minor conto rispetto ai requisiti interiori “perché sono essi che permettono il perfetto adeguamento dell’idea ai segni”. E, addirittura capovolgendo la posizione di Platone, in Cina, l’arte è vista come perfezione del sapere, “espressione del livello culturale e dell’integrità morale di un pittore” e strumento per educare e sviluppare i valori che regolano i rapporti umani. Vi è stretta correlazione tra estetica ed etica. Per dipingere in modo perfetto, bisogna sapersi comportare in modo ineccepibile: “la purezza del cuore del pittore e la purezza delle forme nel suo dipinto non sono altro che un medesimo fenomeno”. L’efficacia figurativa del pittore è tanto più ampia quanto più è discreta, de-soggettivata, de-psicologizzata, occorrendo lasciarsi assorbire dal processo creativo.
Vi è una esplicita equiparazione tra poesia e pittura in quanto in esse agiscono in modo equivalente sia l’emozione sia la riflessione. Pittura e poesia in relazione e integrate alle altri differenti discipline e arti: “Non si tratta tanto di un mutuo completarsi, come se la poesia dovesse offrire alla pittura i mezzi di cui questa è priva, o viceversa, bensì di una circolazione energetica” e ciò trasforma sia chi le pratica sia chi le fruisce.
Nel libro, i commenti del curatore seguono i frammenti del testo di Shitao approfondendo i temi del pensiero orientale e offrendo così una guida preziosa per l’orientamento. Ma vogliamo lasciare la parola a Shitao: “Dove il movimento del pennello è intenso, bisogna librare la mano sopra la carta eliminando dal gesto ogni impeto violento; così, nelle parti dense come in quelle fluide tutto sarà immateriale così da essere animato, sarà vuoto così da essere perfettamente compiuto.
Per le grandi montagne il metodo è lo stesso, il resto non serve. In una sobria e frusta semplicità bisogna ricercare un’immagine frammentata; ma non è cosa che si possa esprimere a parole”.
Rosa Pierno
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