La complessità dell’argomento affrontato da Lou Andreas Salomé nel suo “Riflessioni sull’amore”, Editori Riuniti, 2005, si ravvisa già dal movimento frasistico talmente articolato, e come ricco di fiordi e insenature, che spesso bisogna rileggere il periodo. Questo fa presagire che il tema così agitato, non troverà supine e tranquillizzanti soluzioni.
La riflessione sull’amore che la Salomé effettua è condotta sul terreno esperienziale, tenta di cogliere il movimento contraddittorio del reale e di renderne conto, anziché annegarlo in un astratto disegno: “è tuttavia vero che nell’amore s’incontrano due estraneità, due contrari, due mondi fra i quali non esistono e non potranno mai esistere quei ponti che ci collegano con ciò che ci è affine”. E nel tentare di esplicitarne le contraddizioni, ma anche di trovare possibili soluzioni, la Salomé si serve di analogie, fra cui spicca quella che, come un filo d’oro intessuto nel testo, lo percorre interamente: l’analogia col pensiero artistico: “E’ proprio come avviene nei processi creativi della sfera artistica: ci troviamo di fronte a un’ulteriore analogia fra l’amare e il creare spiritualmente”.
La riflessione sull’amore riguarda le determinazioni culturali suddivise tra erotismo e amore spirituale: vi viene affrontata la questione del perché amiamo una persona e non un’altra e perché anche solo fisicamente, senza che appaia importante interessarci della sua interiorità. E’ necessario collocare questo testo nell’orizzonte culturale con cui la Salomé è venuta a contatto: Nietzsche, Freud e genericamente il pensiero scientifico austriaco di quegli anni per comprenderne appieno la valenza, i prestiti, gli scarti. Riferendosi agli studi scientifici più avanzati, la Salomé indica la sede di talune capacità emotive nella parte più antica del nostro cervello e allo stesso tempo stigmatizza la necessità del superamento di tali impulsi attraverso una più equilibrata e condivisa ricerca del partner, cosa che viene sottolineata con enfasi per la necessità di scegliere il proprio compagno in riferimento alle proprie necessità spirituali e culturali.
L’indicazione è indirizzata a favore di una maggiore autonomia rispetto ai rapporti consolidati dalla tradizione (verso cui Nietzsche ha rivolto i suoi strali: “Matrimoni d’amore. – I matrimoni fatti per amore (i cosiddetti matrimoni d’amore) hanno per padre l’errore e per madre la necessità (il bisogno)“ (da “Umano, troppo umano)), effettuando contemporaneamente una critica sia alla visione pessimistica di quei filosofi (Schopenhauer, Kierkegaard) che si sono rivolti all’amore soltanto come a un’illusione sia alle strettoie di un legame istituzionale che lega due persone per altri scopi e a prescindere dall’effettiva esistenza o dalla fine dell’amore. Resta comunque il sospetto di una indebita separazione tra stato mentale dell’innamoramento e soluzioni proposte. Sebbene abbia individuato i meccanismi per i quali scatta l’innamoramento per uno e non per un altro (anche se l’altro corrisponde meglio alla nostra personalità) la voce della Salomé, qui, è tanto monocorde da sopprimere l’ovvietà che ci si innamora di chi ci si innamora, preferendo indicare come unica via di uscita da un legame sbagliato di cui si soffrano i lacci la via della rinuncia a quel particolare amore.
In questo testo così movimentato, si ravvisano non poche critiche all’amore, forse più delle note positive che gli si accreditano. Sebbene vi siano descrizioni della felicità, del progetto di vita, delle forze vitali che l’amore sprigiona, pure queste cose non fanno pendere la bilancia a favore dell’amore e Lou Andreas Salomé sembra prediligere un rapporto meno appassionato e più cerebrale, meno legato alla fascinazione del corpo e più a quello di un rapporto amicale. Dopo tutte queste peregrinazioni discorsive, appaiono, dunque, irrisolvibili le contraddizioni tra ciò che è fisico e ciò che è mentale, tra il funzionamento biologico e quello dell’individuo nella sua complessità, tra spinte egoistiche e spinte altruistiche, tra sesso e amore. E da questo stallo teorico causato dal dover scegliere tra queste coppie oppositive non si esce: non a caso il testo si conclude chiamando a sostegno ancora una volta l’analogia con il processo artistico ove “Solo uno sa che, in tutte le esperienze più intense e produttive della nostra vita, felicità e tormento sono la stessa cosa: l’uomo creativo”. Quasi un arrendersi a quella che è la forza dell’amore: l’unico processo che mettendo in contatto due estraneità, che tali rimarranno, consente di scendere profondamente in se stessi.
Rosa Pierno
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