lunedì 11 aprile 2011

Gabriella Drudi “Motherwall” dalla rivista “Appia Antica”

Con questo testo, e con altri che seguiranno a breve,  vorrei rendere presente Gabriella Drudi, il suo magistero nella critica d’arte. Nome che non è ricorrente, né citato né studiato, mentre è invece stata una voce straordinaria in campo critico e letterario.




Gabriella Drudi, in questa sua nota critica su Robert Motherwall apparsa nella rivista “Appia Antica” (priva di data) parte da una descrizione come fosse un la da cui debba scaturire un’intera sinfonia. Partirsi cioè dalla descrizione soltanto per accostarsi all’oggetto, introiettarlo, e ascoltare la risposta scaturita nell’io. In questo caso è la descrizione del quadro di Motherwall “Spanish elegy”, 1954, visto nella galleria della 69 strada. A una descrizione accurata del quadro succedono lacerti di una conversazione avuta con l’artista, il quale afferma che attraverso il rifiuto  e il contatto stabilisce ciò che sente e ciò che crede. Nel libero gioco delle variazioni si sventagliano scoperte e conferme e attraverso il dubbio e l’ambiguità la consapevolezza etica. Ma eccola, finalmente, la zampata di Gabriella: “Il dilagare eccessivo delle forme nere rispetto al fondo è in parte giustificato dall’impasto opaco del colore che – per quanto diluito con l’olio – rimane sordo alla luce come un bitume. In questo caso l’olio ha agito piuttosto al modo di una linfa untuosa e mantiene spesso e cedevole come una carne quel nero senza riflessi”. La Drudi legge di rincalzo cancellature, scolature, sovrapposizioni come innescanti il concetto di azione annullatrice. Tutto il testo costruito dalla Drudi, la quale non perita di inserire nel brano ripetizioni dello stesso come accadrebbe in un’azione filmica che  a partire da un’immagine ripresa per intero riparta da un suo dettaglio per meglio esprimere o ridire, per focalizzare il punto originario, per mostrarlo in altri modi, non perde mai di vista l’oggetto  da cui si dovrà desumere o cavare il senso delle sue ragioni d’essere. A questo punto è come avere immagini diverse dello stesso oggetto: sia che si tratti di brani di conversazioni con l’artista sia che si tratti di  descrizioni di altri quadri in altre mostre del medesimo artista, a cui peraltro sempre  un letto o un divano o una scala impediscono l’arretramento necessario per vederlo da una posizione maggiormente distante, per afferrarlo finalmente in una totalità impossibile. Consiste in questo lo straordinario metodo  usato in questo caso da Gabriella per avvicinarsi ai quadri, al loro nucleo essenziale, al significato che letteralmente essi scatenano in lei. Critica d’arte, dunque, come sintesi intellettiva, culturale, percettiva del singolo che si fa strumento di ascolto e di analisi. Nessuna sensibilità da sola sarebbe sufficiente per restituire qualcosa dell’arte, nessun metodo solamente formale sarebbe esaustivo. E’ tutto l’essere e tutta la cultura che vengono richiamati per dire qualcosa dell’oggetto d’arte: “Quanto la scritta serva per riscoprire il fondo o quanto viceversa essa si disponga in forma di sbarratura per porre meglio in rilievo ed eccitare le precedenti zone colorate, si sarebbe potuto forse stabilire esaminando più da vicino, nel loro processo, i rapporti reciproci e successivi delle pennellate. Ma il grande letto, collocato sotto il quadro per tutta la sua larghezza, impedisce di avvicinarsi. Un’azione per essere morale può ancora, in questo senso, rivelarsi come processo attivo di negazione”.


                                                                                                           Rosa Pierno

1 commento:

Anonimo ha detto...

sono felice che qualcuno si ricordi ancora di gabriella drudi -
sembra che la nostra ultima triste epoca italiana dimentichi con troppa facilità scrittori che in altri paesi sarebbero considerati fra i grandi...

elio grasso