"La vertigine del vento" di Stefano Iori
“Capita
a volte che la vita vada avanti lenta, monotona come lo sgocciolio di una
grondaia che a poco a poco scava un solco in giardino. Il flusso incontra un
dosso di terra, viene assorbito, scorre formando una piccola pozza, esita,
prova a rodere la montagnola che blocca la strada o a scavare sotto di essa.
Per via di quell'ostacolo, dunque, l'acqua avanza diramandosi in tre o quattro sottili rivoli.
Oppure rinuncia e affonda nella terra”. Così
scriveva Amos Oz all'inizio del settimo capitolo del suo romanzo Giuda (Feltrinelli,
2014).
Alla
fine della lettura, dopo aver sistemato con cura il segnalibro giallo al
termine delle pagine lette, mi precipitai al computer. Lo accesi e cercai, tra
i cento file sparsi, un brevissimo saggio che avevo scritto due anni fa per
pubblicarlo sul sito dell'amico Claudio Di Scalzo: Olandese Volante. Lo
trovai. Si intitolava La memoria dell'acqua e la poesia. Ripassai
l'intero testo e giunsi alla parte che cercavo. In me stava nascendo profonda euforia.
Apportai
alcune minuscole correzioni e fui felice. Di seguito potete leggere la versione
rivista.
“La
poesia (la nuova lingua) è in noi e chi se ne avvede scopre che questa scorre
come acqua spinta dalla speculazione intellettuale in rivoli piccini, capaci di
passare per ogni minuta fessura, di scorrere in ogni imprevedibile pertugio
trasportando scorie di vita vissuta e atomi di giorni immaginati. Acqua che
filtra negli spazi vuoti, caverne di vita aliena che sfuggono inesorabilmente
(con tutto quanto in loro è celato) alla presa della coscienza consuetudinaria,
all'ordine culturale e morale pre-costituito.
Poesia
è descrivere questo lieve, eppur incessante scorrimento della parola nel
vuoto-ignoto.
L'acqua
ha una memoria? Bene, il poeta è quindi, in parallelo immaginifico, lo storico
e il traduttore del pensiero sfuggente, dell'invenzione che appare con veste di
verità-sorpresa in una frazione di pensiero. Cogliere questo istante inatteso
significa cogliere la poesia stessa, abbracciarla con amore per poi iscriverla
sul foglio portandola semplicemente alla dimensione di un tempo concepibile. Il
tempo di pochi versi che possono alludere gloriosamente a realtà ignote o
nascoste. Un racconto di verità mai detta o di inesplorata finzione. Che può vivere
il fulmineo istante di una coincidenza, della scoperta o della dimenticanza.
L'attimo sfuggente della rivelazione che è già rimpianto, un magma sottile e
sorprendente da cui dedurre dolori, passioni e risa. Atti che si fanno parola
nuova (gioiosa) nel momento in cui il verso risuona per la prima volta grazie
alla voce del poeta. Per morire subito dopo e poi rinascere nell'incessante
ritmo fantasmatico della scoperta”.
Un
solo dubbio, nel suo cercare meritevole chiarezza, mi venne incontro dopo
l'ultima rilettura di queste riflessioni. Il poeta, storico e traduttore del
pensiero sfuggente, è il vero creatore dei propri versi? Oppure questi vengono
da lui scritti assieme ad un'anima aggiunta, operatore logico dalla
misteriosa essenza che, in contrasto solo apparente con la sua volatile
vitalità (liquida come acqua), dà fuoco al rigo iniettandovi molecole di idee
fluttuanti nell'universo, frammenti di sogni impossibili, ricordi smentiti,
coriandoli di pensieri mai pensati? Se è così, come credo, ringrazio la mia anima
aggiunta.
Ma cos'è l'anima
aggiunta?
Il vento, il
fuoco, lo spirito.
Un fenomeno
straordinario si abbatté sulla casa dei discepoli (v. Atti degli Apostoli,
testo attribuito a Luca di Antiochia). Quando il vento, gagliardo e impetuoso,
riempì la stanza, fra alti vortici di fuoco, “... essi furono tutti pieni di
spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo spirito dava
loro il potere di fare”. Altre
lingue. Altra lingua: la poesia.
Luca (primo
secolo dopo Cristo), scriveva in greco. Pnoé, dunque, il vento, il
soffio che introduce lo spirito: pneuma.
Tale concetto si
ritrova nella cultura ebraica. “Lo spirito di D-o mi ha creato e il soffio (
neshamà[1] - pnoé) dell'Onnipotente mi dà vita” (Gb
33,4). E ancora: “Lo spirito dell'uomo è una
fiaccola del Signore che scruta tutti i segreti recessi del cuore” (Pv 20,27).
La
cultura greca antica fu politeista. I Vangeli si ressero su di un'idea trina:
Padre, Figlio e Spirito Santo. Quella ebraica è invece una sapienza duale:
tutto nasce dall'Ein Sof, ovvero l'uno infinito. Si tratta dell'ossimoro della
“luce oscura” concepita come D-o prima della sua automanifestazione: raggio
luminoso e buio assieme. Quando l'essere superiore e divino si affermò come
tale creò Adam a sua immagine e somiglianza: uomo e donna. 0 e 1. Concetto
duale e binario.
È qui
curioso notare come in tali differenti concezioni mistiche l'idea di “spirito”
come “vento rivelatore – anima superiore” sia di fatto corrispondente.
Anima
aggiunta, dunque, come soffio divino, o
comunque altro. Capace di scrutare i segreti più nascosti, e quindi in
sé ignoti, che ribollono nel cuore di ciascuno. Letture scordate, insegnamenti
trascurati (o celati) di maestri, frammenti di vita vissuta senza apparente
radice.
Quando
tali segreti vengono a vivere nel vento e quando possono finalmente essere
condotti a un rigo, con impegno certosino, ecco che nasce la magia (o se si
preferisce, la mistica) della poesia. Prima amalgamata nella dimensione del
mistero liquido, poi rivelata e scritta.
Mai
rinunciare, mai affondare nel buio della terra (come i rigagnoli descritti da
Oz, pur destinati a divenire altro). Meglio accogliere con garbato e affettuoso
abbraccio la rivelazione. Meglio ascoltare l'anima aggiunta che pulsa
nonostante il nostro volere e la nostra coscienza. Meglio nutrirsi, con
coraggio, della manna della nuova coscienza.
“... non
appena i figli di Israele avvertono anche una piccola oncia di rivelazione,
subito li invade una gran gioia" (Rabbi di Czortkow citato ne I
racconti dei chassidìm di Martin Buber, Longanesi, 1962)
Anima aggiunta
Altro da me,
l'anima aggiunta
lavora da sola
Mi scrive e mi
dice
con fare garbato
La penso e non
c'è
mi volto e lei
ride
Il bello –
sapete? -
è che lascia i suoi segni
(Da L'anima aggiunta di Stefano Iori, SEAM 2014, edizione
italiano-inglese con prefazione di Beppe Costa)
Stefano Iori
[1] Neshamà: parola antica che,
secondo la Cabbalà, rappresenta l'anima superiore o "anima superna".
Questa separa l'uomo da tutte le altre forme di vita. È correlata
all'intelletto e consente all'uomo di godere dell'aldilà. Permette di avere
consapevolezza dell'esistenza e presenza di D-o
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