Con uno
straordinario atto di mimesi, Almerighi fissa con pochi tratti, in uno schizzo
a sanguigna, diremmo, i pensieri di un essere umano inchiodato dal proprio
mestiere a una maschera culturale, a un ruolo subalterno a logiche di potere,
ma anche a un destino percettivo. Senza
mai cadere in un ritratto di maniera, senza mai cedere al prestito di uno
stereotipo, il poeta restituisce al lettore un’esperienza umana nitidamente
scolpita, mostrando quanto i suoi versi siano il frutto di un cesello, di
un’immedesimazione, di una vicinanza morale all’essere umano ingabbiato, senza
speranze, nelle stritolanti maglie della società contemporanea.
La struttura
sintattica, la quale fa galleggiare sostantivi e versi su una superficie
rarefatta, patente, non inclina sul versante della scelta della rastremazione
dei mezzi, piuttosto della rarità, conservando, come primula che buchi neve, la
sorpresa della rivelazione. La sintassi franta provoca salti nella continuità
come in un affanno del pensiero. Il senso che si dovrebbe trarre, conseguenza
ferrea di un sillogismo, disegna
pertanto lacune nella continuità del
tessuto, denunciando ignoranza e soprusi: “all’inutile pareggio / della dea
bendata / preferì una sigaretta”. Il linguaggio si fa strumento eloquente di
differenza, a maggior ragione nell’artificio della voce del poeta, quando
racconti l’esistenza altrui. Immaginiamo, dunque, in questa desolante distanza,
che è, appunto, quella di coloro che non hanno voce, questa doppia cesura,
poiché c’è chi gliela presta con dolorosa afasia. Non è senza costo scendere in
simili scavi e pozze dell’umana materia.
arte & mestiere
edilizia, mestiere di ginocchia e
pazienza
manovale specializzato
se ti manca l’equilibrio stai
zitto
altro che dottori,
avvertiremo noi la famiglia
e la televisione avrà cura dei
tuoi,
non importano le date
incise sul cemento fresco
prima di posare una soglia,
non importano le soglie, le
bestemmie
in tutti gli accenti nord e sud
non importa saper scrivere sui
muri,
arrampicarsi come meticci,
ciascuno vedrà la propria ombra
quando il sole smetterà di
rompergli la faccia.
Sia stato lavoro nero o no,
finita la giornata
tutti insieme, chi non c’è non
c’è,
ci faremo un bianchetto al bar
impero.
Berretto di carta e nazionale
semplice,
boccate di fumo e di calce,
l’edilizia è stata un’arte
non è più un mestiere
col bellissimo accento di qui
Invocavo speciale protezione
all’anima di Franz Kafka,
in pieno raccoglimento
davanti a una porta automatica
entrare uscire e stavo in mezzo,
fumavo giusto per i nervi
e non patire altro dolore.
Intanto un vecchio senza gambe
armeggiava col portacenere
a fianco riempito di cicche,
cosa fai?
Sono sporche, gli dico
prendine una delle mie.
Pensavo fosse il solito
fenomeno da stazione,
si è girato
sbarbato e in ordine.
Guardi poi le disfo, risponde
col bellissimo accento di qui.
Comunque grazie. Conclude
non accende e se ne va.
di tutti i ricordi che ti ho dato
Alla mia età si diventa orfani
dei figli, ma
di tutti i ricordi che ti ho dato
terrei per noi quell’eroe di
guerra,
Onestini mi sembra si chiamasse,
morto di spagnola nel Ventuno,
la sua edicola dimenticata accesa
incubava tuorli di passero,
tu li vedevi vivi, curiosa salivi
a osservare i becchi aperti e
muti
nel via vai infinito della fame
del bisogno di mettere piume
avere voce e diventare cattivi.
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