martedì 29 ottobre 2013

Flavio Ermini su Luigi Fontanella, Land of Time, Selected Poems 1972-2003, Chelsea Editions 2006


Land of Time è un’antologia. Raccoglie un’ampia selezione di poesie di Luigi Fontanella, con testo inglese a fronte. Il volume copre un vasto arco di anni: dal 1972 al 2003, ed evidenzia, pagina dopo pagina, i passaggi testuali di una vocazione che ha toccato, negli anni, vertici espressivi personalissimi.
La natura si rivela in queste poesie con un impeto senza traguardi. È la metamorfosi nel suo punto più ardente, la dispersione senza cedimenti; è l’ansare d’una corsa / rapida, sempre più, / lunga e distante / variegata nella brama / che gli anni non attenua. In Land of Time, la vita sembra scaturire da una sola stagione: la grande estate dei sensi e dello spirito. Il tempo ne è l’immagine esaltante, trattenuta sempre in un atteggiamento estremamente armonizzato, anche quando è chiaro il destino di nulla di cui è portatore: c’è ogni volta il fotografo di posta e pronta / sempre una pistola per la strage finale.
Fin dal primo testo del volume è vivo l’ascolto de l’intima vita / che fugge, in una terra segreta in cui l’io è desolatamente sperduto. Gli anni che sono venuti dopo hanno acuito fino alla drammaticità quel momento determinante.
Agisce in Fontanella un richiamo alla purezza classica. Le sue figure vibranti assomigliano alle prime sillabe di una parola che sta per prorompere. Il poeta ha saputo costantemente fermare nella frase questi avvii lievissimi, questi preannunci, che sono ineguagliabili, perché rappresentano il passo iniziale verso una precisazione ancora avvolta nella rete di tutte le possibilità: c’è il vedere / e tutto ciò che d’invisibile / si può immaginare / dunque partendo e finendo / sempre da una forma / un modello una sagoma un profilo / come seguendo le orme / d’un Mostro inafferrabile.
L’idea del tempo assume in Fontanella una caratterizzazione particolare: quell’ascendere a spirale delle forme da cui non si riceve soltanto un’impressione di movimento rotante, che allude, sì, ai ritmi della danza e alla musicalità, ma dà la percezione del tempo quale nervatura di ogni più riposta sensazione. Il tempo è reso, qui, nella sua accezione metafisica: Più che altro è questa / disperazione del niente la pietà / verso tanti se stessi / il terrore calmo di scoprire che forse non altro è / la vita. Si pensa all’essere come sviluppo di una inevitabile consunzione. E quindi alla gioia fugace, da trattenere con trepidazione.
E dove la spirale si accentua in una dolorosa torsione, sembra trasparire il segno oscuro del destino. È come se Fontanella volesse condurci, per un istante, oltre il solco della vita. Là dove il desiderio e l’azione non hanno più nome: Ciò che resta è questa oscurità / puntuale e immutata della notte. Ecco perché, forse, la sua mano ama fissare l’immagine allo stato nascente. Quasi intendesse rallentare il compiersi di un gesto. Aprirsi alla pienezza della vita significa nascere al versante della disgregazione, ovvero affacciarsi simultaneamente al principiare e al finire dell’esistenza.
La successione delle poesie segnala una progressione che ha per oggetto la materia. L’intervento di Fontanella si fa via via più controllato. Con il tempo, il poeta acutizza quello spunto che la natura gli aveva fornito – e che lo collegava alla sostanza dell’esperienza – e lo libera in parte dai sottili artifici della ricostruzione diretta. Fontanella lascia che le cose lo aggrediscano interamente. La natura non gli porge soltanto dei suggerimenti. Ma viene avanti possente e gli offre il proprio volto, quello del Mostro inafferrabile / che mi preda la notte / e scompare al mattino.
Adesso le sue figure escono con forza drammatica dall’oscurità / puntuale e immutata della notte, dalla geografia sgarbata  e rapida e sporca / di questa città del futuro già morta,  da solchi di fango duro. La materia vivente è densa di emozioni. È già una processualità significante. Tutto è nell’angolazione di un’intenzionalità dominata. Fontanella, infatti, non ha mai voluto trasferire se stesso nell’abitazione delle cose. In esse, semmai, ha sostato più o meno lungamente. Per ricondurle poi nell’area del suo spirito.
L’idealità delle prime poesie – con la sua ricerca di altri modi d’amare – con il passare del tempo affonda le radici non più in sorgenti di cristallo, ma nelle acque profonde di un lago, circoscritto da angoscia, occultamento, morte: Ora raccolgono grida / squame di animali / morti vicino alla riva / ognuno si confonde sempre più con l’altro / nel respiro, laggiù. È la sintesi dell’esperienza comune, pazientemente sofferta e votata alla rinuncia. È l’ombra della disfatta, che si stende anche là dove l’uomo crede di aver innalzato un vessillo vittorioso: una grande bandiera senza segni e senza padroni.
Il definitivo e l’interrotto spiegano anche le contraddizioni in cui si dibatte l’uomo del nostro secolo. Razionalismo e irrazionalità si contendono il campo della vita. La violenza sembra aver murato tutte le speranze: “A ognuno il suo posto,” un ordine / perfetto e inutile. Ma / nessuno si salverà, / nessuno.
L’opera di Fontanella ci aiuta a stringere nella memoria, con maggiore consapevolezza, i grumi di luce e d’ombra che intorbidiscono le nostre giornate.
                                     Flavio Ermini

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