domenica 22 aprile 2012

William Turner a Venezia


L’artista sfuma i toni, creando relazioni inusitate fra i colori, i quali si mischiano come salive nel bacio di due amanti poiché è, appunto, atto d’amore che, qui, s’inscena.

Braccio superiore del Canal Grande con San Simeone Piccolo” al crepuscolo è una lingua di verde-acqua che penetra tra due ali avorio-grigio e sbatte contro un viola cielo che non s’accorderà mai con nulla al mondo. Colori disfano la città, mentre la città non sembra prendere forma se non attraverso i colori.

Presso la Dogana, costruzioni sono sospese tra cielo e acqua. Appesantite dai candidi marmi stazionano a mezz’aria, già erose alla base dai riflessi oleosi del mare. Gondola s’appresta a traversare siffatta ambigua materia: la sua aerea posizione non le procurerà rimprovero d’irrealtà.


“Venezia con la Salute. Acida luce intacca la materia corrodendola. Lo sfrigolio che ne consegue è viscoso, s’attacca al piano della visione senza scivolare e ricostruisce, con la sua densità colloidale, la forma appena dissolta. Sicché, i volumi delle case e la cupola paiono incancellabili e i colori sembra portino impressi in sé anche la forma.

“Venezia: una tempesta”. La luce intercetta le più sottili polveri, le brume, le nebbie, i vapori e vi proietta all’impazzata una cascata di madreperlacei violetti, di indaco volatili, di ocra purpurei. Sull’acqua scossa dalle raffiche di vento, lume depone lacune di colore, lacerti di vuoto: come accade a volte sulla spuma marina di un oltremare intenso. Abbaglia sulle cortine rosate delle case, trattenendone solo una trama di lesene e cornici, e s’astiene dallo sfiorare oggetti abbruniti nemmeno fossero un anatema ordito contro di lei.

“Sorgere del sole su Venezia visto dalla Giudecca”. Sul foglio avorio si palesa con avara evidenza il digradante svolgersi del rosario di case affacciate sulla laguna. Al di sotto della linea d’orizzonte, vi è una sbiadita distesa, che appare indebolita già prima di toccare il bordo inferiore del foglio e, al di sopra, una flottiglia di nuvole acrobatiche che si torcono sprizzando coriandoli di pigmento sul paesaggio intero.


“Il Canale della Giudecca, in direzione di Fusina”. Riflessi sull’acqua più che baluginare, grattano la superficie essendo state prodotte da un pennello quasi asciutto, il quale raspando ha ottenuto riflessi che hanno consunte iridescenze, bronzei lampi, ramate ondulazioni, tali che  la laguna tutta scintilla con metallica apparenza.

“Veduta dal canale che porta al Lido: la Riva degli Schiavoni”. L’aria si tinge di dislavato oro e di svanito blu-ftalo. Una sola nuvola porpora, poggiata sul foglio come pietra, lo trattiene e gli impedisce di sparire completamente. Dei palazzi infilati dalla riva si vedono soltanto le cornici. La sommità dei tetti potrebbe servire da falsariga su cui impostare un ultimo tentativo di ordinamento.

“Allontanandosi dalla Riva degli Schiavoni, all’altezza del Ponte dell’Arsenale”.  Di una così labile immagine, poiché colta in uno sfavillante meriggio, si percepiscono appena  profili e tinte. Il disegno restituisce il ricordo d’imbarcazioni oramai ridotte a costoloni arrugginiti, le parvenze di edifici ricoperti di marmo sfavillante e un verde-rame che, nel suo momento più vivido, colloca il mare al centro della laguna attraverso una piccola riassunta macchia.

                                                                               Rosa Pierno

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