martedì 10 aprile 2012

Theodor W. Adorno “Teoria della Halbbildung” il melangolo, 2010

Il disfacimento storico della cultura (Bildung) tedesca è descritto da Adorno nel brevissimo saggio “Teoria della Halbbildung”, il melangolo, 2010. L’idea di una degenerazione storica della cultura ha un ruolo di primo piano nell’opera di Nietzsche e anche per Adorno la necessità di intervenire è imprescindibile. Se l’individuo moderno occidentale vive la sua formazione in modo dimidiato, incompleto e condizionato (Halbbildung), compito di una critica della formazione sarà allora quello di restituire alla coscienza la sua determinazione affinché essa non si aggrappi a “elementi culturali approvati”.  Il concetto di formazione critica non coincide con quello di cultura, anzi, deve necessariamente distaccarsene, in quanto se uomini colti “poterono tranquillamente   votarsi alla pratica omicida del nazismo” diviene fondamentale che il senso dei beni culturali non debba essere ”separato dall’organizzazione delle cose umane”.  La definizione di una cultura non separata dalla vita reale  porta gli uomini ad adattarsi gli uni agli altri. Essa non deve irrigidirsi in categorie fisse: spirito, natura, sovranità, le quali si prestano a regressioni ideologiche. Una cultura che derivasse da un inconciliato antagonismo sociale riuscirebbe a raggiungere una falsa libertà, una falsa coscienza. Adorno, ancora come Nietzsche, critica in Kant la credenza di poter raggiungere la condizione di una società autonoma attraverso il postulato della finalità senza scopo a causa di una razionalità o di una purezza che dovrebbe essere mezzo e fine. La cultura da sola non garantisce la società razionale: la cultura non può “dare agli uomini ciò che la realtà loro rifiuta. Durante l’ascesa della borghesia, l’istruzione popolare soffriva dell’illusione di poter revocare l’esclusione del proletariato dalla cultura, imposta dalla società, mediante la cultura stessa.  Tale integrazione non è che un’ideologia, ma anche la cultura stessa presenta “datità reificate e mercificate” le quali “sopravvivono a spese del suo contenuto  di verità e del suo rapporto vivente coi soggetti viventi”. Adorno però non perita di criticare anche Nietzsche, il quale, pur rifiutando l’esigenza  di un cosmo vincolante per l’individuo in modo indiscutibile, di un tutto giusto, conciliato con i singoli, pure tenta di creare arbitrariamente questo tutto con le sue nuove tavole. Per Adorno, una cultura che raggiungesse l’autonomia e la libertà, avrebbe le caratteristiche di caducità e di eteronomia e dunque conterrebbe la sua dissoluzione.   Né, d’altronde, il contenuto di verità dei beni culturali è invariabile ed eterno, non ha un’origine, ma è derivato.  Inoltre, “la cultura non si può accompagnare  a una libertà meramente soggettiva, finché permangono, oggettivamente, le condizioni dell’illibertà”.    Ma una sua liquidazione farebbe ricadere nella barbarie, farebbe sottoscrivere volontariamente ciò che è invece inaccettabile. L’appercezione critica e senza illusioni si accompagna alla perdita della cultura: “spassionata obiettività e cultura tradizionale sono fra loro incompatibili”. Ma è in questa non risolvibile divaricazione, tra i rapporti reali della vita e l’autonomia da tali rapporti,  che Adorno situa la possibilità di pervenire a un’attività critica che si può realizzare grazie all’integrità della propria forma spirituale. Essa retroagisce sulla società solo mediatamente,  non attraverso un adattamento ai suoi ordini. E “non ha altra possibilità di sopravvivenza  fuorché quella che consiste nell’autoriflessione critica sulla Halbbildung che essa è necessariamente diventata”.

Rosa Pierno

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