mercoledì 12 ottobre 2011

Michel Foucault “Illuminismo e critica” Donzelli, 1997


Nel testo “Illuminismo e critica”, Donzelli, 1997, Michel Foucault affronta la definizione del concetto di critica, sul quale si fonda il suo lavoro intellettuale. Tant’è che critica riguarda “una certa maniera di pensare, di dire e anche di agire, un tipo di rapporto con l’esistente, con ciò che si sa, con ciò che si fa, un rapporto con la società, con la cultura, con gli altri”. Critica, dunque, coestensiva al campo morale, alla costruzione del proprio sé. Della critica Foucault traccia una brevissima storia, approfondita, peraltro, in numerosissimi altri suoi libri, a partire  dalla pastorale cristiana, la quale mette a punto tecniche per governare gli uomini, fino all’età della Riforma, durante la quale esse si espandono e si diramano  nell’ambito della società civile: l’arte di governare i bambini, i folli, i malati, la famiglia, i poveri, le città, gli Stati.

Dall’analisi di queste pratiche affiora anche la questione inversa: come non essere governati  “in questo modo, in nome di questi principi, in vista di tali obiettivi e attraverso tali procedimenti”, che è in fondo la questione centrale dell’atteggiamento critico: l’“arte di non essere eccessivamente governati”. L’atteggiamento critico si è naturalmente sostanziato in alcune forme storiche. Foucault ne cita alcune: critica del rapporto con la Scrittura (critica biblica), individuazione dei limiti del governo tramite il diritto naturale (critica giuridica), critica al problema della certezza rappresentata dall’autorità (critica al diritto, alla Bibbia, alla scienza, alla natura alla legge). Siamo giunti, così, al nucleo originario della critica che “rinvia a quel fascio di rapporti in cui s’intessono i problemi del potere, della verità e del soggetto” e attraverso cui “il soggetto si riconosce il diritto di interrogare la verità nei suoi effetti di potere e il potere nei suoi effetti di verità”.

Foucault riconosce la continuità del suo pensiero con quello kantiano, in particolare col testo “Che cos’è l’Illuminismo?”, in cui Kant, dopo aver disegnato l’ambito di riferimento (l’umanità, che per mancanza di decisione e coraggio non usa il proprio intelletto, viene tenuta in stato di minorità da uno stato autoritario) individua nell’atteggiamento critico una risposta non banalmente oppositiva all’obbedienza al potere: “La critica dirà, in sostanza, che la nostra libertà è messa in gioco da ciò che affrontiamo, con più o meno coraggio, dall’idea che ci facciamo della nostra conoscenza e dei suoi limiti” rispetto a cui Foucault precisa che la storia del XIX secolo sembra proseguire più il concetto di critica kantiano che non il fenomeno stesso dell’Illuminismo, cioè quello scarto, in termini di conoscenza (che riguarda la legittimità dei modi storici del conoscere). In ballo vi è quella stessa ragione che è all’opera anche nella governamentalizzazione e, infatti, la critica alla ragione come responsabile di un eccesso di potere è stata condotta anche negli ambienti della sinistra tedesca (Scuola di Francoforte) nell’ambito del positivismo, nell’oggettivismo, nella tecnicizzazione, mentre in Francia la questione dell’Illuminismo si è riannodata “a quella del senso e di ciò che lo può costituire” (“non si forma senso se non come effetto di strutture coercitive”).

Nietzsche, da cui il pensiero di Foucault è estesamente ispirato, criticherà l’idea kantiana di una critica della ragione da parte della ragione stessa, di una ragione che è al tempo stesso “giudicante” e “giudicato” e dirà che essa ha come suo unico obiettivo quello di giustificare, cominciando proprio col credere in ciò che critica. Egli formulerà una propria  risposta a Kant esprimendo la necessità di una  critica che non si limiti soltanto all’ambito della conoscenza e conferendo esclusivamente alla volontà di potenza (in quanto principio non trascendentale) la possibilità di realizzarla. Nietzsche, dunque si contrapporrà alla critica kantiana, proponendo non principi trascendentali, non un pensiero che si reputi legislatore, ma un pensiero genealogista. (Per un approfondimento si veda Deleuze “Nietzsche e la filosofia”, Einaudi1 992).

Foucault individua, in conclusione,  nell’Illuminismo il problema della filosofia moderna, in particolare, nelle sue forme d’analisi: “Si tratta, in questa pratica storico-filosofica, di farsi la propria storia, di fabbricare, come per finzione, la storia che sarebbe attraversata dal tema dei rapporti tra le strutture razionali che articolano il discorso vero  e i correlativi meccanismi di assoggettamento” immettendo, dunque, nell’analisi i temi del soggetto e della verità. La questione dell’Illuminismo è “il rapporto tra potere, verità e soggetto”. Foucault approfondisce la sua analisi prendendo in considerazione le “connessioni tra  meccanismi di coercizione e contenuti di conoscenza”. L’obiettivo allora non sarà più quello di distinguere tra ciò che è vero e ciò che è falso, “fondato o infondato, reale o illusorio, scientifico o ideologico, legittimo o abusivo”, ma i legami tra potere e sapere, “ciò che permette a questo processo di coercizione di acquistare le forme e le giustificazioni proprie di un elemento razionale, calcolato, tecnicamente efficace” il quale “è sempre inserito in un campo di possibilità e quindi di riversibilità”.

                                                                                                Rosa Pierno

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