giovedì 6 ottobre 2011

Giuliano Mesa “Finisce ancora. Endecasillabi e altri reperti” da “Ante Rem. Scritture di fine Novecento” Anterem, 1998


Inauguriamo una nuova rubrica, dopo quella su Gabriella Drudi, attraverso cui riportare alla ribalta testi importanti che meritano rinnovata attenzione: in particolare, quelli presenti nell’antologia  “Ante Rem. Scritture di fine Novecento” a cura di Flavio Ermini, edizioni Anterem, 1998.


Ci concentriamo sul finale della  poesia “Finisce ancora. Endecasillabi e altri reperti” di Giuliano Mesa presente nell’antologia “Ante Rem. Scritture di fine Novecento” a cura di Flavio Ermini, edizioni Anterem, 1998, per poi risalire ai versi iniziali, poiché ci pare sia quello il luogo in cui si possa riconoscere una chiave di lettura particolarmente importante: “come stornare l’idea dal concetto”. Ci sembra di riconoscere immediatamente la matrice heideggeriana, il quadro di riferimento assunto da coloro che vogliono risiedere in un mondo in cui non si faccia più riferimento alla metafisica. Se la metafisica pensa l’ambito sensibile come ciò che ha l’aspetto dell’ente senza però mai essere tale, per quanto il sensibile renda percepibile qualcosa, l’essenza, tuttavia, vi appare ristretta, impoverita. Essa può essere colta soltanto con l’intelletto e la ragione e dunque, il sensibile è immagine-di-senso e il sovrasensibile è “modello”. Estirpare pertanto l’idea dal sensibile è esattamente l’operazione di colui che voglia superare la metafisica. Ma la sfiducia mostrata da Giuliano Mesa si basa proprio sul linguaggio, il terreno comune del filosofo e del poeta. Sebbene Mesa non utilizzi simboli, allegorie, metafore e rimanga solidamente ancorato a un livello in cui tali rappresentazioni non diano adito a immagini-di senso, pure egli denuncia l’inanità di una tale operazione: “sarebbero sempre altre parole”, in cui inevitabilmente l’idillio tra cose e mondi e visioni prolifererebbe.  Le splendide parole “reggicose”, “spegnicause”, “trovaforme” che ci fanno pensare al fondamento, al rapporto causa-effetto, all’arte, precipitano, nonostante il qui e l’ora, che sono le coordinate che Heidegger utilizza per indicare la condizione dell’abitare dell’uomo non più metafisico, nell’imbuto ove il mondo, nonostante “che ieri che oggi che domani” e nonostante “andare verso e cosa” finisce. E dunque, a questo punto, possiamo riprendere la lettura dall’inizio, ove il corpo si pone come barriera insormontabile, come bloccatempo che rende inutile ogni mutamento. L’ancorarsi al corpo però è anche salvezza, in qualche modo. Quel corpo che è muta superficie distesa sul profondo, eppure,  ineludibile, poiché mai sarà possibile separare il fisico dal mentale, il sensibile dal senso.     

 
1

questo è deriso
perché non ha capienza
è una maceria mutilata
una glottide secca
una mucosa dove non permea nulla
né nulla trattiene perché s’intorbidi
o s’intrida almeno di globuli
nei ruvidi interstizi
prima e dopo che sia finito
che sia deciso questo almeno
questo passarsi la mano

2

apri una vena e spargi il sangue
fai una pàtina rossa
un impasto per curare la ferita
olio di gomito fracassati
poi prendi la lingua del bue
docile la cospargi di origano
la triti nel mosto la spalmi
sulla lingua che lecca la ferita
sulla mano che trema
guardi la vena che pulsa
con le mani tocchi tutto il corpo
tutto questo corpo
per tutta questa notte che finisce

3

Che cosa ne sarà
perché si muova e svuoti
spolpando e masticando
succhia il midollo e rimanga
un’apertura per il fiato
un suono duplice per muovere i passi
(ogni perfezione va distrutta
il dubbio, senza darlo in pasto,
tirato su per i capelli
su per le palpebre, sopra tutto il profondo
muta che è
tutta la superficie)

4

andare verso e cosa
corpo sfasciato testa lorda
se tutto muta inutilmente
che ieri che oggi che domani
qui riversato a negare
in pochi chili di carne ed ossa

5

conserva anche questo fianco smagliato
quest’anca con la sua garza e i lividi
le nocche spellate le guance rosse
per quanto ti resta quando verrai
pochi ultimi giorni per convincerti
ancora per questo equinozio
a rimanere in te

6
oggetti per riflettere
come stornare l’idea dal concetto
fare la figura immediata
ma sarebbero sempre altre parole
anche le dette con spasimo
contratte striate
idilli di lingua e mondo
reggicose spegnicause
trovaforme d’accoglienza del qui
dell’ora per palpare

questo mondo che struscia
rapido su se stesso rapidissimo
fino a che non finisce

da I loro scritti, VI,

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