giovedì 7 aprile 2016

Giovanni Campi “abbecedarj paralleli” eBook

eBook pubblicato da www.larecherche.it in collaborazione con Versante Ripido



Siamo caduti come Alice nel paese delle meraviglie nel pozzo, abbiamo pur anche cambiato dimensione e ci apprestiamo a farci sorprendere dalle meraviglie di una riscrittura che cela in se stessa, per esser riscrittura, la propria ragion d’essere. Qui lo si afferma in maniera perentoria: la scrittura come il sole ha sfiatatoi che eruttano altri soli, altri oggetti letterari.

Questa sorta di preambolo, salito a fior di labbra già alla lettura della prima poesia appartenente alla raccolta di Giovanni Campi, “abbecedarj paralleli”, liberamente scaricabile dal sito www.larecherche.it e realizzato in collaborazione con Versante Ripido, ci consente di centrare direttamente la questione: la manipolazione del linguaggio, quasi come in un congegno di Kubrick, dove al solo ruotare le sillabe di una parola, ne compaiono almeno altre tre e dove  esplodono, come mazzi di fiori dal cappello di un  prestigiatore, i significati rispetto ai quali la favola delle Metamorfosi di Ovidio, si fa, appunto, pretesto, puro graticcio per rampanti germogli.

Che sia questione di pretesto in letteratura, non è il caso qui di ripetere, sufficiente il riferimento in esergo al Manganelli di La letteratura è una menzogna, citato dallo stesso Campi. Più interessante ci pare il dibattere dell’utilizzo di un linguaggio arcaico o desueto (prelevato da testi cinquecenteschi) che d’un colpo ci appare più innovativo di quello contemporaneo. Non sia paradossale affermazione, ma concretissima, consequenziale, che vale come risposta alla consuetudine di certa poesia attuale che utilizza un linguaggio piano, semplificato, sottoposto a minimalismi d’ogni sorta, che si sposa con esperienze di vago interesse e di ancor più incerto valore.  Ci preme insistere, allora, se proprio ci deve essere un partito preso delle  cose, che c’interessa del linguaggio la sua possibilità di non precludersi alcunché. Se il contatto con l’essere è problematico, non si possono recidere le risorse del linguaggio, che quel rapporto deve istituire, per tentare di semplificare il problema e proprio ora, oltretutto, che la sfida della complessità ci spinge a mettere a punto strumenti maggiormente duttili.

Ma ritorniamo nell’officina vulcanica di Giovanni Campi:

ma dove? ‘l lupo ‘n fabula, nocchiero
di urn’o teche, la lunululante ‘nspera,
e numerando ‘l caos – vocj ‘l c’era,  

qual volta? sacer d’ozj l’insincero
divin concilj ‘ fulmini, ‘ diluvj,
d’i tuoni ‘n van emessi sen profluvj  

ove diurno (di urn’o) diventa il punto mediano, il legaccio tra nocchiero e teche, il che dimostra come la variazione del significato se si dà col significante, operando direttamente nella materia linguistica, lega forma e contenuto in maniera inscindibile, dando già sul solo versante linguistico la  corrispondente oggettualità che si riscontra nel reale: materie diverse, ma materie entrambe. Se poi si volesse aprire la questione del modo in cui le due materie si corrispondano, non è, a ogni modo, questione letteraria: essendo, la letteratura “una menzogna”, appunto.  

Tutta da godersi, da assaporarsi in relazione alla più o meno estesa preparazione che si possieda, i cristalli testuali molati da Campi, più che lenti con cui guardare al reale, sembrano mettere a fuoco opere precedenti. Una scrittura che si dica contemporanea è necessariamente una scrittura che sa inglobare in se stessa le scritture precedenti: sostrato in qualche modo fondante, giacché ci si può riferire alla dimensione del tempo solo presupponendo una tradizione.

Questo libro si pone nell’ambito del genere che rende la riscrittura del libro di un altro autore, un esercizio di meta letteratura e, in questa tessitura, è inscritto anche il meccanismo che  presiede alla sua costruzione. Se la transtestualità è una caratteristica a fortiori della letterarietà, è ancora più giusto analizzarla quando ne diviene elemento centrale, come nel siffatto caso. Infatti la trasposizione linguistica nelle forme stilistiche del cinquecento, marca l'operazione come squisitamente linguistica, ed è quindi qui che bisogna cercare la peculiarità dell'operazione.

Inoltre, certi "topoi"  stilistici e tematici, ricorrenti nella tradizione di Catullo e Ovidio, sono ricorrenti anche nella tradizione del Quattrocento e del Cinquecento, ma consentono di isolare, come in una camera asettica, il funzionamento del linguaggio tra mimetismo e trasformazione. E qui potremmo fare un nome per tutti quello di Francesco Colonna con la sua "Hypnerotomachia Poliphili" del 1499.

La transtetualità del testo è l'insieme di "tutto ciò che lo mette in relazione, manifesta o segreta, con altri testi" (G. Genette Palinsesti). Inevitabilmente la citazione comporta un testo di secondo grado (in questo caso complicato dall'inserzione delle illustrazioni realizzate da Giacomo Paolini, "Grotesque alphabet in mythological landscapes", che rappresentano i medesimi temi mitologici) attirando nel proprio vortice anche altre opere (anche qui, faremo un solo nome, quello di Dante, per tutte). In ogni caso, dire la stessa cosa in modo diverso non è più dire la stessa cosa: qui si apre l'abisso plurimo, la trappola di specchi che si riflettono l'uno nell'altro e rendono l'oggetto d'arte particolarmente complesso.

Si guardi a questa mirabile terzina :

l’es empio l’esemplar istesso o nuole
la copia ‘l specular per speglj, d’eco
‘l risuon rintocco secolar i’ preco

In tre versi si condensa l’intera vicenda di Narciso, la quale si dipana come tra le righe, mentre, sono conficcate nei lemmi, come leve, schegge che sollevano la superficie testuale, facendo intravedere al disotto delle chete acque, l’io di Narciso e della ninfa Eco, i quali agiscono non per volontà: l’esempio diviene l’es empio che non vuole la copia, lo specular (riflettere)  per specchi-ritratti, mentre l’eco diviene ritmo, cadenza temporale, che si sedimenta in secoli. Ma valga solo questo come esempio, per dire della scrittura preziosa, cesellata di Giovanni Campi.

Se ascoltiamo il messaggio di Mallarmé: "Ton acte toujours s'applique à du papier; car méditer, sans traces, devient évanescent", vi troviamo conferma che nella materia della traccia è rinvenibile il pensiero. Nel libro di Giovanni Campi si tratta di rintracciare le iscrizioni interne ed esterne, mettendo a frutto le acquisizioni dell’iconologia e della documentalità. Tale sinergia si coglie visivamente per la presenza delle immagini che accompagnano ogni poesia tratte dalla collezione di stampe di Giacomo Paolini: illustrazioni risalenti al XVI secolo.  Le immagini provengono dalla collezione del British Museum di Londra, nata dall'acquisto, nel 1753, della collezione del conte di Oxford.  La presenza delle grottesche che fa da cornice a ogni scena e che denuncia l'influenza raffaellesca, riporta in primo piano la questione insita nella traduzione - di cui Raffaello parla in una lettera al Castiglione - effettuata tramite astrazione e schematizzazione rispetto alla complessità del modello pittorico:  se la riproduzione si pone in ruolo subordinato, la posizione dell'incisore si capovolge  nella capacità inventiva e interpretativa indipendente dal modello. E in ciò possiamo ritrovare, come un quadro nel quadro, (caratteristica tipica dello stile shakespeariano) il legame tra opera visiva e testo nel libro di Campi.

La riscrittura ha significato in quanto, come in un’elevazione all’ennesima potenza "Il sentimento di univocità che caratterizza ogni soggetto dipende dalle sue peculiari deviazioni dalla norma" (M. Ferraris Documentalità). E, allo stesso modo, il principio di individualità/individuazione vale anche per le opere d'arte caratterizzate dallo stile. Tuttavia, ci preme sottolineare che, più si tenta di ridurre   le diverse forme espressive del linguaggio e dell’arte visiva a una vicinanza promiscua, più emerge la loro irriducibile specificità. Saldando in un solo anello le assediate forme - le opere della tradizione, le immagini e la riscrittura -  dal loro sincretismo si ottiene il motivo della loro necessità: niente si può produrre e niente si può distruggere nel sistema culturale, ma non è legge di natura: è artistica norma.


                                                                              Rosa Pierno

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