Nel
titolo "CoBrA. Una grande
avanguardia europea 1948-1951" è l'esplicito riferimento al carattere
internazionale del movimento - che prende il nome dalle lettere iniziali delle
capitali dei paesi degli artisti fondatori: Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam -
ad assumere un intento progettuale, sia nelle idee del gruppo che in quelle
degli organizzatori della mostra. Non una facile esposizione, quella presentata
dalla Fondazione Roma a Palazzo Cipolla, dal 4 dicembre al 3 aprile 2016, ma
estremamente interessante, per certi versi unica, in relazione alle scelte maggiormente
omologate del territorio romano, perché
rappresenta un punto di svolta fra le produzioni dei primi trent'anni del Novecento e la produzione che
caratterizzerà gli anni 60-70. E, come esplicitato dal Presidente della
Fondazione Roma, Emmanuele Francesco Maria Emanuele, se il gruppo CoBrA
rappresenta un periodo "meno conosciuto sul territorio rispetto ad
altri" le sue caratteristiche culturali "si qualificano proprio per quell'ansia
di libertà che si percepisce nelle opere in mostra", esprimendo la
volontà" di disegnare un'Europa già unita e capace di trasmettere
nuovamente valori universali dopo la tragedia dell'ultimo conflitto
mondiale". Concetto centrale visto che i conflitti vengono definendosi
sotto profili culturali e dove l’intesa interculturale è strumento
indispensabile che consente di attuare nella comunicazione intersoggettiva
delle forme della nostra vita culturale il superamento delle contrapposizioni.
Eppure,
se il pensiero va subito all’internazionalità dei nomi che hanno partecipato a
questa avventura (francesi, belgi, norvegesi, tedeschi), più che la
varietà delle provenienze conta la messe
di interessi nuovi, e tutti sperimentali, intorno a cui costruire nuove
identità e processi culturali. Non solo il recupero delle specificità culturali, delle individualità che
costituiscono la ricchezza delle culture, dei materiali figurativi legati alla
tradizione locale, ma anche il recupero dell’espressività infantile, delle arti
dei popoli non occidentali, un ritorno alla materia e alle forze emotive, prima
ancora che percettive, le quali si
legano a pulsioni non sempre logiche o concettuali, e spianano la strada al
caos e al disordine, con la loro carica prorompente ed espressiva. Tuttavia,
siamo in presenza di qualcosa che forse viene espresso per la prima volta, in
barba ai surrealisti: l'inconscio non necessariamente è qualcosa che ci domina
senza che possa essere ricondotto in un ambito progettuale. Anche se, come
vedremo, non è progetto che passi per una forma, almeno dal punto di vista
teorico. Se, infatti, è dichiarata la dissoluzione dell'idea classica di forma,
dall'altra, in numerose opere, si riconosce un tenace figurativismo legato alla
sfera emotiva, alla ritenzione di ciò che si riferisce ad aspetti concretamente
esistenziali (é il caso di Asger Jorn, di Karel Appel e di Constant, di
Lucebert con gli animali, i corpi, le teste o di Carl-Henning Pedersen con
elementi paesaggistici, urbanistici e favolistici).
In ogni caso la forma é colta anziché nel suo
dissolversi, nel suo formarsi sulla retina; quasi setacciata dalla massa di
impressioni sensoriali e emozionali. Più geometrico Corneille che struttura in
una griglia di raffinatissimi passaggi cromatici o in una trama coloristica vibratile i suoi oggetti e
i suoi temi. Cambiano le scale cromatiche, il grado di forza espressiva, in
alcuni mediata da una tonalità emotiva più delicata, ma lo sfondo, in tutte le
opere, non è che l'acqua riflettente in cui le
figure si formano e si disperdono per nuove figurazioni, dove l'io
sembra esprimersi senza mediazioni e
dichiara la propria libertà dalle convenzioni. Anche se corre l'obbligo
di dire che il riferirsi alle arti primitive non può che valere in quanto
prelievo da interpretazioni raffinatissime (Costant, "Femme qui a blessé
un oiseau avec une feuille mort”) e, dunque, non sono presenti soltanto forme
d'immediatezza come è il caso del disegno infantile. Impeti informali privi di
figurazione sono preponderanti nelle opere di Karl Otto Götz, William Gear,
Else Alfelt, Svavar Gudnason. Nel crogiuolo di CoBrA vengono a congiungersi le
influenze tardocubiste, postsurrealiste, materico-gestuali e informali, ma in
vista di un superamento delle stesse in direzione di un'arte di tutti e del conseguente abbattimento dei
confini disciplinari fra l'architettura, la poesia, la scultura, ecc.).
Lucebert, ad esempio, poeta che diventa pittore, o Christ Dotremont con i suoi
segni calligrafici (china su carta montata su tela). Particolarmente
interessanti sono i quadri realizzati da quest'ultimo in collaborazione con
Pierre Alechinsky, ove i corpi aggrovigliati mostrano la stessa corsività della
scrittura.
Se
si può far risalire all'influenza di Nietzsche l'interesse per un ritorno all'arcaico
nell'evo moderno, registrato già in Warburg e più tardi in Cassirer, dalla
medesima costellazione, l'avanguardia, in pittura e in letteratura, in
psicologia e filosofia ha tratto importanti impulsi. Quasi una filosofia
vitalistica, che celebra la spontaneità della vita colta nell'affiorare delle
pulsioni non irregimentate. Ma questa, abbiamo detto, è una mostra difficile
per la sua complessità e la ricchezza degli spunti riflessivi, oltre che
inusuale. Si pensi all'affermazione -
presente nel catalogo della mostra del 1944 - "che tutti possono essere
artisti e che l'arte non è una questione di tecnica" con quell'altro snodo
esplicitato nel manifesto "il nuovo realismo", il quale propone
"una rivoluzione artistica fondata sulle potenzialità naturali della
materia e sulla vitalità scatenata dell'essere umano", il che ci fa notare che il movimento CoBrA
riconosce che c'è una materia, ma non una tecnica. Criticando "la
concezione dell'automatismo psichico di Breton considerato troppo mentale",
il movimento CoBrA precisa che la nozione di spontaneità è "un atto fisico
che materializza il pensiero" e la pittura è un'attività "che fa emergere il flusso
psichico inconscio direttamente dalla materia fisica, mettendo in crisi il
principio stesso della forma". Ma si comprende perché al centro sia una
materia senza tecnica: come scrive Costant (uno dei fondatori del gruppo):
"il materialismo è per noi anzitutto sensazione: sensazione del mondo e
sensazione del colore".
L'arte,
pertanto, come risposta alle carenza della società, avente il ruolo di
liberare la creatività e di costruire il
migliore ambiente possibile per l'umanità. A ciò si devono le molte facce del
movimento "che non facevano capo a un'unica filosofia", ma che erano,
appunto, espressione di uno spirito
creativo collettivo il quale, necessariamente anteponeva un certo numero di
esigenze etiche alle tecniche espressive. Ma che resta attualissimo, in quanto
ancora gravido di sviluppi.
Rosa Pierno
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