Frante le trame con un colpo netto, non ferma i virgulti d'inchiostro, i quali tentano di raggiungere il bordo del foglio per aggettare verso l'aperto.
La carta si rapprende come per una distrazione dovuta a un trasalimento della stessa superficie, il che dimostra che essa è appena un paravento, una postura della volontà, non ha le caratteristiche sperate, forse è di altro spessore.
Carta, stoffa, o materia ideale, lo dice il segno che s'inarca come se vibrasse; a tratti, scossa da un sussulto interiore, esterno al sé.
La tratteggiata elargizione toglie spazio al vuoto, lo riduce.
La riga non può mai essere veramente dritta. Non esiste al mondo un siffatto segno. La mano percorre la distesa bianca, il foglio che scivola serico e morbidamente accoglie il pondo e il punto.
La linea attraversa il foglio ricordandosi del picciolo della foglia: anche la carta non è distante dalla pianta, come si fa a separare materia da materia?
Con un alfabeto personale dove il tracciato esiste perché collega punti, macchioline messe lì per non perdere la retta via, scrive qualcosa su un mondo che non può essere decifrato.
L'enigma si installa nella mente alla casella deputata, accanto ci sono i pennelli, la pietra d'inchiostro, il bicchiere.
Sarebbe l'universo letto, oppure tradotto in codice. Trasformato in un'altra forma, più adeguata all'umana mente.
La forma ellissoidale, non ha due fuochi, ma plurimi, tutti infilzati da parallele che non s' incontrano nemmeno sul piano. Una certa propensione al silenzio non impedisce di pensarlo puntellato da macchie.
L'assioma afferma che un punto non può non essere intercettato da una linea. Le linee non si accavallano mai e riescono in questo modo a soddisfare le premesse.
Lascia che la linea si rigonfi, trovi ostacoli nella fluenza, la disegna come avesse un moto, come stesse lì lì per fuoriuscire dal solco che la irregimenta.
Il segmento detesta trovare sul proprio percorso, nel proprio letto, il punto. Che non è proprio punto, ma il ricordo di ciò che è stato, qualcosa di prosciugato. Fossile sostanza.
Dunque, c'è un prima e un dopo. C'è un andare e ritornare, un andirivieni indaffarato. Un gran daffare si dà la linea per non doversi arrestare. I punti sono sempre in agguato, tendono una mortal trappola.
I bordi definiscono la forma dell'universo. A volte le linee riconoscono che il foglio è il più piccolo dei mondi possibili e ampliano la linea d'orizzonte per favorirne l'espansione.
La vena d'inchiostro denuncia una variazione nella superficie che non necessariamente corrisponde a una variazione reale. Marca con precisione l'inesistente.
Alcuni punti sembrano essere esplosi, altri si addensano fino a segnalare un buco nero. Non è una cosmografia né uno stellato firmamento, é un tracciato dell'anelare, di un desiderio divelto.
Ingrossando alcune linee, si crea un ritmo alterno in un suono continuo. Proviene da profondità intestine, di cui non s'intravede il fondo.
Le partizioni del foglio dicono che il trattamento prevede una diversificazione nel procedere. Non sarà mai un tornare indietro. Al telaio, il filo non può passare nel medesimo punto.
Un'onda deve pur scuotere la superficie, qualcosa che provenga da un passato remoto e ora giunga come un fremito lungo a smuovere ciò che é sedimentato.
Secoli di scrittura non hanno esaurito la descrizione di un pennello quando incontra la carta. Finirà prima il mondo.
L'onda attraverso la mano e giunge alla carta. É il moto scatenato dalla mente.
Un impulso che ha il medesimo ritmo del cuore. É un respiro che solleva l'infinitesimo e il macroscopico. Esiste un collegamento che denuncia l'esistenza di una medesima sostanza.
Oppure un moto sotterraneo, qualcosa che si può rintracciare solo nel passaggio della mano sul foglio, che, in tal guisa, riappare e resta visibile.
Non esattamente profili determinati dalla proiezione di cime, ma onde, simili a quelle di un lacustre specchio, appena increspato.
O anche code di pesce preistorico che danno il segno della propria presenza in quell'unico modo. Per questo si potrebbe sospettare che esistano i marini mostri, ma solo su carta di riso.
Le macchie dai contorni irregolari dicono dell'esistenza di un residuo, un imperfetto modo d'essere, uno spurio addensarsi, un che d'incongruo che mina la materia.
Una miccia, pronta a far saltare i filari, a debordare, ad accamparsi tra le righe, nella zona neutra, che non deve essere solcata.
La macula, interrompendo i filari, impedisce che si creda a una continuità. Insorgono ulteriori intralci, solo mentali, e il fermo immagine s'imprime nella mente.
La continuità non s'é mai data senza interruzione. Non è mai esistito un punto senza una linea.
Rosa Pierno
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