domenica 10 febbraio 2013

Marco Furia “La parola dell'occhio” L’Arca felice, 2012



Computare gli elementi presenti in un quadro  in maniera polita, ottocentesca, con parole che hanno la lucentezza dell’argenteria in una cristalliera e che si susseguono in una sequenza verificabile visivamente, perché ogni testo è associato al quadro che si sta descrivendo, dà una sensazione di falsa sicurezza, sebbene del quadro vengano descritti elementi effettivamente presenti, i quali danno luogo a una sorta di narrazione, tutta aderente al piano psicologico. Infatti, d’improvviso, lo scarto, lo scollamento straniante e la pagina diviene il luogo di un dispiegamento concettuale che si situa sul limitare del filosofico e del letterario, non più del visivo. Comprendiamo ora che quella descrizione, così aderente all’immagine, era servita solo a caricare la molla, che, libera dall’ingranaggio, sta liberamente correndo. 

Lo scarto ci fa comprendere come Marco Furia utilizzi il quadro per sperimentare il modo in cui  i sedimenti culturali e conoscitivi tesaurizzati possano essere riattivati in forma creativa attraverso un meccanismo visivo che proprio con la parola ha una relazione di estraneità. Il coraggio con cui Furia affronta il quadro è dello stesso grado della libertà che si concede. Siamo in presenza di uno svelamento. Il processo creativo letterario si espone nella sua arbitrarietà rispetto al referente (e a un referente di tale riconosciuta tradizione: da G. Tiepolo a Turner, da Canaletto a Cézanne) e regge l’impatto. La strada è spianata, ora il legame lo si deve rintracciare nello sviluppo argomentativo che ha le sue regole propriamente letterarie, ma avulse da un binario tracciato. Il testo infatti mostra autonomia dai generi canonici (prosa d’arte, critica d’arte). Il lirismo delle definizioni è come raggelato dalla predella concettuale agganciata dopo avere abbandonato il terreno della superficie pittorica, proprio mentre le argomentazioni sono rivolte a divellere i concetti per aprirli alla molteplicità del senso. “Non è facile dipingere l’attimo fugace, ma non meno  difficile è ritrarre l’attimo che contiene tempo, che intenso perdura”.

Anzi, meglio, il testo letterario di Furia partecipa di tutti i generi. Compie evoluzioni nel suo farsi e il passaggio al ragionamento filosofico si tiene affianco il buon senso, l’attaccamento al percepire: “Un’intensa sobrietà, ovunque diffusa, non esclude alcun singolo elemento che, individuato con chiarezza, trova nel dipinto la sua giusta collocazione”. Una larvale distanza non colmabile, dicevamo, resta tra il referente e il testo che da esso sarebbe originato, si potrebbe dire addirittura che la posizione del periodo, relazionato ai singoli quadri, sia indifferente, quando non si tratti ovviamente della descrizione del quadro: “La coscienza di un uomo può raggiungere dimensioni davvero immense e il gesto cosciente non soltanto rappresenta, soprattutto è”.

Basti questo a testimoniare quanto il testo si ponga in maniera autonoma rispetto al pretesto che gli ha dato luogo, pur mantenendo sempre una relazione ambigua con esso. Una sorta di assemblage di aforismi di natura spesso etica, indicanti un orizzonte più ampio dell’occasione pretestuosa del godimento di un’opera d’arte: “Vivere un’immagine affinché altri, anche  a distanza di secoli, la vivano a loro volta: un dono che davvero non ha prezzo”. Siamo in presenza di un sistema in cui la saggezza è l’insieme che contiene gli altri insiemi e gestisce forme di vita, pretendendo per sé un ruolo fondante. “La vita propria dell’opera d’arte non è mai fine a se stessa, poiché si offre al rapporto con l’altro, allo scambio”. Pensiamo, dunque, che per Marco Furia sia centrale la considerazione del dono e della relazione con l’altro da sé, quello intraducibile in altra forma e che gli fa dire: “L’arte, quella vera, non si dimentica mai degli altri” soltanto in vista di quest’altro orizzonte. Va a configurarsi in questo modo una visione dell’arte collegata alla conoscenza e perciò al destino dell’uomo.

                                                         Rosa Pierno

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