sabato 2 febbraio 2013

Adorno “Long Play e altri volteggi della puntina” Castelvecchi, 2012



L’ottima introduzione di Massimo Carboni alla raccolta di articoli e testi per conferenze di Theodor W. Adorno  Long Play e altri volteggi della puntina, Castelvecchi, 2012, intende calorosamente evidenziare come il filosofo tedesco non abbia inteso azzerare il valore della cultura di massa, ma abbia cercato, pur criticandone gli aspetti retrivi e infidi, di sottolineare i vantaggi presenti nella diffusione degli strumenti culturali attraverso le nuove tecnologie. Carboni, intende, per l’appunto, se non rovesciare, mettere in dubbio l’idea pregiudiziale di un Adorno che disprezzi l’arte di massa e la musica di consumo, poiché necessario gli appare distinguere fra l’appiattimento dei valori culturali e la diffusione degli stessi.    Anzi, precisa che Adorno considera necessario affinare i propri strumenti per cogliere l’efficacia di tali fenomeni, spendendosi per analizzarne tutti gli aspetti: “riconoscimento che un medium non è soltanto un medium, che ogni apparecchio è già il suo stesso uso, che la forma tecnologica genera le sue stesse ricezioni, le funzioni sociali, i comportamenti individuali e gli stili di vita che vi sono connessi, crea le proprie modalità di utilizzo, modella e in parte predecide l’orizzonte di senso entro il quale si produce e si esercita”.

Il Long play è appunto un mezzo tecnologico che consente una diffusione musicale impensabile prima della sua apparizione e Adorno ne tesse le lodi. Lo stesso Carboni rileva che Adorno, non abbassando mai la guardia sulla potenza della banalità nella ricezione di massa e sulla sua autoindulgenza “votata all’obbedienza e rassegnata alla mercificazione”, insista allo stesso tempo però nel non contrapporre arte e seduzione, musica colta e musica di consumo e rifletta sul “progressivo dissolversi dei confini tradizionali tra i generi, preparando in buona sostanza il terreno alle attuali considerazioni estetiche sulla medialità”. Nella musica commerciale si può trovare, inoltre, quella “immediatezza e genuinità” che è andata persa in quella superiore, recando in sé l’”equilibrio tra la potenza dell’impersonale e la persistenza dell’individuale”. Sebbene ci sia anche un’altra ragione per cui Adorno apprezzi in modo particolare l’introduzione del Long play: libera “dall’accidentalità delle false feste operistiche, permettendo l’esecuzione della musica in forma ottimale e il recupero di qualcosa della sua forza e intensità andate perdute nei teatri. L’oggettivazione, vale a dire la concentrazione sulla musica come vero oggetto dell’opera”.

Nella raccolta affiora un altro tema particolarmente importante:  il ruolo e lo scopo della critica. I bravi critici trovano solo in sé il terreno in cui coltivarsi e la fortuna di essere seguiti o meno non ha mai potuto nulla sulla loro capacità di realizzare nella maniera più propria la funzione della critica. Adorno, enuclea le caratteristiche che definiscono tale funzione al suo più alto grado, i compiti sociali, le intenzionalità interpretative, le capacità necessarie. Il testo, contenuto nella raccolta, Riflessioni sulla critica musicale verte sulla necessità per un critico musicale di conoscere la musica, di saper leggere la notazione musicale, altrimenti, va da sé,  parlerà d’altro (“la questione della tecnica e quella della verità del contenuto non possono essere separate l’una dall’altra”). La critica “è una forma propria e non è  un semplice mezzo” e “ha una funzione obiettiva ed essenziale e non semplicemente una comunicativa”. E poiché la spiritualità delle opere d’arte, cioè la loro verità, non è data in modo definitivo, ma è piuttosto un processo, il critico vi si deve immergere non adducendo “dall’esterno alcun criterio di giudizio fisso, fermo, già pronto”. Deve accertarsi dei livelli formali raggiunti e quando questo accada è già sufficiente a estirpare il pregiudizio sulla relatività dei giudizi artistici, visto che deve fondarsi sull’”adeguatezza dei mezzi agli scopi”.

Dopo aver debellato il pregiudizio sulla relatività storica, Adorno, abbatte anche quello sull’apporto dell’individualità del critico poiché altrimenti “non sussisterebbe alcun rapporto  tra il soggetto che conosce e giudica artisticamente l’opera e la cosa stessa”. Ma nei confronti della pratica professionale del critico, il filosofo tedesco, fa scoccare un’ultima freccia: “Capacità critica è l’obbligo morale di portare la differenziazione fino all’estremo“ e di non stemperarla per piaggeria o convenienza, poiché l’opera d’arte è un fatto sociale e storico e di questo il critico deve dare evidenza, estraendola dalla sua pietrificazione e  “ritrasformandola in quel campo di forze” il quale, solo, rende la “critica vitale”.
                                                            
                                                                                   Rosa Pierno

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