mercoledì 6 febbraio 2013

Carla Stroppa “Fantasmi all’opera” Moretti&Vitali, 2013



Carla Stroppa disegna due fuochi con il suo ultimo lavoro Fantasmi all’opera Moretti&Vitali, 2013. Disegna due fuochi nell’intento di circuitare nella medesima figura l’intera sfera dell’arte. Disegna due fuochi mentre si riferisce ai disagi, alle dissociazioni di un individuo rispetto a se stesso e al suo ambiente. Il passaggio non è di facile realizzabilità, giacché, se a volte si possono dare nella persona sia il normopatico che l’artista, non necessariamente l’arte è risposta al disagio, né è possibile procedere all’identificazione dell’effettivo raggiungimento della forma artistica nell’ambito della psicanalisi. Lo indica la stessa autrice quando rileva che per Freud “all’opera letteraria non viene riconosciuta quella libertà e autonomia di ispirazione che fa di lei una creazione originale con valori intrinseci, non un sintomo”. Anzi, in Freud, il personaggio letterario è visto come esemplificazione tout court “di un aspetto patologico della mente del suo autore”, di un caso clinico, ove tutto, di fatto, appare sempre spiegabile e senza resto, mentre per Carla Stroppa, psicoanalista junghiana, non ha nessun senso cercare di ricondurre l’arte “nella “via maestra” della psicoanalisi”. Se relazione si può tessere sarà quella di rintracciare in tale “dono poetico”, ciò che “oltrepassa qualsiasi sistemazione teorica”.

Più precisamente, per Carla Stroppa si tratta di ricondurre alla polisemia, alla molteplicità delle interpretazioni la lettura dei sintomi, al fine di rispettare proprio la creatività da cui essi nascono. Punto centrale di tutta l’analisi della psicanalista è quello di ricondurre “il vero e il falso, la realtà e la finzione” alla loro inestricabile complessità e dunque alla ricchezza del loro significato simbolico, strada che è, appunto, percorsa da Jung, il quale “vedeva nell’opera d’arte la traccia di un’eccedenza creativa e spirituale capace di pescare nei meandri più oscuri e lontani della memoria della specie e nello stesso tempo di spingersi oltre per creare nuove forme, nuovi linguaggi, nuovi simboli”. L’obiettivo perorato da Carla Stroppa è quello di insistere sul ruolo fondamentale dell’immaginazione, definendo il normopatico come colui che non vuole sapere nulla del suo mondo interiore e non è conscio di vivere “una vita impersonale e senza afflato”: in una sorta di “morte in vita che cova nel suo intimo l’ombra amara della radicale infelicità e la rigidità della difesa costante dal rischio di soffrire”. Di contro è l’estasi, la felicità, la capacità di comprendere e di affrontare, le quali si agganciano con le facoltà immaginative, che divengono vere e proprie “bussole del profondo”, connessioni di senso, possibilità concrete di ribaltare le situazioni psichiche.

L’inconscio non è, pertanto, solo un serbatoio ribollente le cui pulsioni devono essere contenute, ma è soprattutto un bacino di energie da cui attingere. Nell’indicare la sfera immaginativa come risorsa nell’analisi, la psicoanalista junghiana  sostiene il suo discorso con una messe di citazioni ed esempi ricchi quanto adeguati, ove la letteratura, la fiaba, il mito più che fare da sostegno alla teorizzazione psicanalitica, vengono convocati in quanto esemplificazioni di azioni e soluzioni possibili, divenendo centrali perché terreno di coltura delle risorse umane, quelle afferenti al proprio sé in contrapposizione con i modelli omologati della società. Con esempi lampanti, evidenzia come la presenza dei fantasmi interiori (fantasmi erotici, fantasmi coercitivi e impositivi), possano essere addirittura cavalcati per dirottare la produzione di senso verso una più consapevole conoscenza delle dinamiche del sé, “in un processo di trasformazione”, se non di normalizzazione, che può condurre verso un recupero delle proprie potenzialità. In ultima analisi: “dall’egocentrismo e dai conflitti nevrotici che isolano e lacerano il filo della grande tessitura umana, dal dolore annichilente, all’amore per l’altro e per la vita in quanto tale”.

Carla Stroppa indica che se non è possibile un integrale recupero della disponibilità di se stessi, delle proprie capacità ed energie, è anche vero che questa non è che l’unica strada a disposizione per  accedere a un’esistenza soddisfacente. E in questo senso è invero avvincente scoprire insieme all’autrice le potenzialità che si sprigionano dalla sua analisi. Infatti, il metodo messo da lei in atto procede attraverso non un recupero della razionalità, ma un attraversamento dell’illusione, del fondo magico della mente carico di mito, di magia, di immagini, in una sola espressione: del processo di simbolizzazione, che poi è il medesimo attraversamento compiuto dalla parola poetica. In ogni caso nella ricerca di quella mobilità e di quelle strategie differenzianti, non sistemiche, che aiutano a comprendere il nostro situarci nel mondo e ci aiutano a mettere a punto il modo  in cui possiamo abitarlo al meglio.

Afferrare dunque le opportunità creative vorrà dire afferrare la chance per non cadere nel patologico quando un sistema razionale diviene oppressivo, e anzi “per intraprendere quel volo trasformativo intrinsecamente creativo che avrà come fine non la netta distinzione tra realtà e fantasia, come auspicava Freud, ma al contrario la sua sana, intrinseca – in una parola: poetica –  riconnessione”. Sarà la medesima porta “che ha segnato l’entrata nel labirinto” a segnarne anche l’uscita, poiché ancora con le medesime forze si dovrà attraversare l’ignoto o l’esperienza dolorosa e ricostruire “il proprio valore e il proprio posto nella scena”. Ma questo ovviamente vale per tutti, per tutti essendo importante “procedere oltre l’alienante conformismo dell’indifferenziazione che spegne ogni scintilla di soggettività creativa”.

                                                              Rosa Pierno

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