Non
è possibile né scindere né unire esistenza e scrittura: a tratti distinguibili,
a tratti coincidenti. La scrittura, oltretutto, spesso rifiutata quando pare
che attraverso essa si definisca la persona, il poeta inteso in quanto
dialettica identità/maschera, ma ancor di più accoratamente seguita, pedinata,
curata per rintracciare in essa qualcosa di personale. Il registro lessemico si
rincorre tra queste due sponde senza soluzione di continuità, attingendo alle
cose e l’attinto lanciandolo lontano da sé, come cosa non autentica. Continuamente
risospinte ai bordi dell’esistenza da che centrali erano, le cose, i libri in
maniera preponderante, costituiscono il fulcro, anche in negativo, di questi
testi poetici. Il soggetto dichiara di non sapere, di non conoscere le cose
reali, le cose che corrispondono alla realtà: il vetro, il cemento, per condurci di fronte allo spettacolo della
sua interiorità, quella relativa ai sabati a tracolla trascorsi in casa, ma è
un’interiorità piena di buchi, di oggetti che stanno al posto di altri, che ne
usurpano lo spazio. Poiché, appunto, altre sono le cose che si vorrebbe avere e
la loro mancanza depaupera il soggetto, lo rende presente solo tramite una
matita: considerato che è attraverso la rappresentazione che si pensa di
mettere in atto una resistenza rispetto a una realtà non accogliente, con cui
non si trova accordo. Resistere, non accettare, non conformarsi è l’ultima
strenua attività, ma il disegno, la scrittura
si appropriano del corpo - siamo letti pur senza che pronunciamo nulla - dunque,
la strategia da mettere in piedi si complica. Scrittura si alloca nello spazio
esistenziale, di cui il poeta avverte l’usurpazione e, dunque, è necessaria anche
una ribellione alla scrittura, la quale è cresciuta a dismisura, e proprio mentre il poeta se ne
allontanava, quando era divenuta quasi una cosa familiare, tessuta con
frequenza quotidiana. Ribellione che denuncia che lo spazio esistenziale è
altro, è negli interstizi del tempo, quello sospeso, quello delle pieghe. Quello
riposto nell’infanzia. D’altra parte, Alessandro Assiri lo ripete, la scrittura
brucia più storia di quanta ne produca. Chiede che l’esistenza stessa faccia da
combustile alla sua realizzazione. E dunque in questo divario, in questi due
tempi differenti, così come sono diversi carne e scrittura, si situa
l’esistenza del poeta. Difficilissima disputa, poiché la scrittura si dice di
carne, è parte del poeta, e proprio mentre ne costruisce il simulacro. Crediamo
che in questo scarto non dirimibile sia la cifra di questo testo, in cui la
bilancia non può pendere a favore di
nessun corno del problema e se, pertanto, il dramma è costituito da un drago a
due teste, bisogna affrontare entrambe: convivere con la scrittura così come si
convive con un altro essere, con la sua presenza, con la sua assenza, cercando
di liberarsene, gettando altra storia nel testo.
Il
gatto la volpe e l'armeria dei briganti
E'
una questione di qualcosa, forse di fretta o meraviglia, ma qui si respira male
sia
le sorprese che le scuse, poi le stelle finiscono o si vedono di meno ed
improvviso ci si scorda
che
a bologna un libro in tasca lo devi sempre avere così se ci si incontra se ne
ha un pezzo da strappare
non
so più se è troppa neve o se grattiamo male il vetro, se contano i numeri o il
cemento
è
quasi un'ora che hai le mani chiuse, un'ora oltre le cose dalle ciglia
amplificate
con
cui sbatti l'alfabeto
la
fine degli auguri forti, se fossi capace ci metterei una croce, ma quando penso
che sei scrittura chiara
mi
vengono in mente tutti i sabati a tracolla dove il nemico si combatteva stando
a casa
e
un po' mi irrigidisco come quando si va in vacanza e si ostenta il coraggio con
la testa tutta indietro
i
fiori non li voglio recidono i pensieri, diventano formule di saluti risentiti,
come essere costretti a vivere sempre con i saldi
tra
i toni grigi che arrivano dal terzo, coi figli di corsa e gli zerbini severi
siamo
solo un po' di sporco accanto a dormire il nostro sonno coi buchi
mi
è arrivato in ritardo c'era rimasto addosso poco,solo una somiglianza vaga una
resistenza a matita
dalle
maiuscole ti riconoscerei tra tanti, la storia sempre più piccola di una
materia che conosci
continua
ad andare spesso a capo, le lettere grandi tirano a fine mese un gesto
trasgressivo dei sensi
vedi
che alla fine saltano fuori i nomi con lentezza ed ovvietà anticipano i corpi e
si rimangiano parole
chiamano
le descrizioni del mondo con meticci movimenti di accattoni e concorrenti
non
avrai altro dramma al di fuori di me, a questo ci condanna il nome a essere
letti anche senza voce
quello
spazio bianco è pelle dove devo inventare una retorica, un’esecuzione di
sentimenti
un
buon pomeriggio a cui chiedere scusa, la lista della spesa e quella dei nemici
vedo
virgole danzanti cadere come folgore, il servo che ci chiama non è diverso
dall'anagramma stupido di un verso
vorrei
scrivere tutto quello che tocco che sei morbida sul tardi che sei cresciuta a
misura del mio stesso allontanarmi
la
vita che si riassume non è mai quella precisa dello sporco ne del risparmio del
sale
piuttosto
è quella delle ore, delle distanze fatte a piedi, dei corridoi lunghi, dei
balconi da dove ti sporgevi
le
parole che abbiamo scritto insieme ci fanno apprendisti su tutto, ci mettono
sonno al posto dell'angoscia
sembra
di uccidere sorrisi in una lingua sconosciuta, nessuna scala per il paradiso
ne
ascensori per posti irresistibili, ti lascio ai tuoi ricordi scuri e torno a
rimproverarmi di un giovedì minore
le
tue righe successive invadono i libri di segni, ci deludono, ci avvertono, come
consigli ci rincuorano
poi
solo rumore all'impazzata, primavere dai conti salati rimasticano i vuoti nel
peso di qualcosa che decide
se
mi muovo mi stai dietro, in un altro libro scritto bruci i chili delle scorte
quando
diventi scrittura ricomincio a cambiare, ti aspetto dritto senza nipoti e senza
slanci
ti
muovi d'altro dentro mentre irritata ritorni di carne, senza sconti cerchi il
muro che ti piega
nel
buio della gonna dove a volte piove tutto il tempo che ti resto nelle gambe
finisce
tra due metri con il pane e con la pasta, starò magari bene, ma per ora non si
sente
tutto
quel che si può fare è un impossibile un po' corto, l'hai trovato dentro il
frigo
tutto
il mondo che hai rubato, con le mani dentro al vaso e i cavalli a dondolo a
batterci in testa
il
mio sud è qualcosa in discesa consuma più storia di quella che produce, ha un
ginocchio per la morte
un
triciclo per l'amore e qui lo sai si trova casa in fretta senza esagerare con
le linee troppo chiare
scendevo
a patti con i tuoi inviti con la ferocia
della caccia e col letto da bagnare
chi
balla nei vestiti fugge da un pericolo col bavero rialzato, accumula squilli e
nocche spellate
divani
dove insistere trascinando i propri strappi di perimetri insalubri come affitti
stagionali
i
soggiorni brevi delle estati, le notti appena fresche a strapparti dal riposo
cosi toccato dai tuoi mali
la
mia pazienza è il doppio esatto dei tuoi vocaboli, insieme fanno le spalle
in
questo freddo di scrittura come vita che ci usura, questo cielo inizia dal
tallone
da
una terra provvisoria di parole in catene, dove bruci più storia di quanta ne
produci
stavamo
come Roma ad assorbire un vantaggio di un mestiere che si impara
nell'insistenza
di quel dio che tiene l'uomo ostile minacciandoci col cielo
tutti
presi a prender le misure delle piccole ambizioni, dei piatti di portata
quale
lato viene fuori? è il blues che preferisco, dicono di me che tu non guardi mai
nel
gomitolo del nome ai fili ricevuti e si faceva quel che si poteva per stare più
in vetrina
adesso
vediamo l'ora in cui partire, immaginare l'armadio dell'arrivo col supplemento
del cuscino
il
venerdì che siamo scesi dall'albero per tornare in casa era fatto solo di
bambini e di cerotti
tenevamo
l'orizzonte in basso una qualità modesta, il conto chiesto in fretta dei
vent'anni meno
le
biglie coi ciclisti che ci sorridevano al ritorno dalla volata finale ancora
sporche di sabbia
facevi
sulle dita le addizioni difficili, riparavi gli errori aggiungendo una spanna
rimediavi
per noi che dovevamo pur vivere cercando di accorgercene
ritratto
di una voce che riscrive le nostre virtù misere al sicuro dai rovesci
contribuiamo
a darci il volto di una vita in abiti leggeri, perché restaurare sarebbe
rimanere
fedeli
a una misura legata all'inverno, gomitoli di rese e toppe improvvise
tu
che prima di scrivere non conti e le sillabe che diventano saliva zavorrate di
pesi
sul
pavimento qualche goccia di un grazie appeso ai denti come se scappare fuori ci
pulisse dentro
come
la sera della festa che da sempre è
degli avanzi, ti trovo un po' più esperta verso una fine di vacanza
a
trasformare la casa come diretta conseguenza ad accarezzare con il sidol le
maniglie della porta
ti
vesti e io ricucio quel che di esatto c'era, tra l'erba cercavamo copertura
è
compito della luce elaborare la fame, rifarsi amanti mediocri, lavarsi per
primi
domani
ti dimenticherò meglio, domani che avrò fatto acqua quando serve
Alessandro Assiri
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