Il giardino contemporaneo
Si giunge così, ai giorni nostri, alla perdita di rilevanza della funzione stessa del giardino nell’area metropolitana, perdita che segnala anche la nascita di un fenomeno dal volto bifronte. Da un lato il declino e la svalutazione della natura, dall’altro le aspirazioni, non si sa quanto sostenute da reali forze psicologiche individuali, collettive e sociali verso l’assun-zione in cura, non del solo giardino, ma addirittura di tutta la natura. Cosicché si va ancora oltre i parchi pubblici baudelaireani, i luoghi dello sconforto, i luoghi negativi, infelici. Les temps modernes non vogliono più illudere gli spiriti incantandoli, non vogliono più “enchanter l’esprit” con la presentazione di quadri di beatitudine e con l’esibizione della bellezza, ma vogliono rappresentare la condizione umana senza edulcora menti, vogliono esporne le contraddizioni, così che il soggetto incrinato della filosofia possa trovare nei giardini cittadini la propria perfetta metaforizzazione. Il mondo contemporaneo invece sembra o ricusare del tutto il giardino o ritenere il mondo tutto, un giardino.
Con la rinuncia al paradiso anche il mandato edenico si annulla. Con Der Untergang des Abendlandes, Spengler visualizza nel 1918 l’esaurimento del plurimillenario slancio vitale della storia del progresso della civiltà occidentale che ha avuto nella Kultur l’anima della sua crescita e che ora si è cristallizzata – con le concentrazioni metropolitane e il consequenziale abbandono delle periferie, e con la volgarizzazione della tecnica – in una Zivilisation indicativa di un inarrestabile declino e di un’irreversibile decadenza che, dice uno Spengler storico e profeta, lascia l’uomo in balia del suo inevitabile destino che la “necessità storica”, incurante della volontà del singolo, decide per lui. Ma per chi ingenuamente resta a coltivare l’illusione, l’Eden si espande e il mandato edenico si amplia a cura universale, ed è rivolto a tutti coloro che, con innocente speranza, aspirano ad impegnarsi in questa direzione.
Se si amplia, il proposito dichiarato è quello di prendersi cura non più,egocentricamente, soltanto del giardino, ma in un’apertura ecumenica di impostazione globale, di farsi carico di tutta la natura, di tutto l’ambiente terrestre. Farsi carico del mondo per salvarlo, rispetto a chi vuole distruggerlo e lasciarlo perire. Non essendo una promessa facile da mantenere, né un impegno leggero da assumere, e neppure compito agevole da eseguire, ciò che l’uomo ha enunciato in questa istanza costruttiva rischia di rivelarsi illusorio e velleitario. Non viene curato né il giardino, né il mondo. Giacché l’intento non risulta poi radicato quanto necessario alla sua attuazione nel profondo della coscienza identitaria, e neppure di quella comunitaria politico-sociale, e invece, al contrario, si rivela da più parti attaccabile, e per di più attaccato da istanze tra di loro opposte e contraddittorie – di un carattere definibile, in termini generali, o idealistico o nichilistico – che di fatto lo ostacolano, lo paralizzano, se non lo vanificano.
Cosicché una aspirazione totalizzante di questo genere, rivelandosi puntellata da appoggi rivelandosi puntellata da appoggi dimostratisi ben presto fallaci o inconsistenti, lascia che si verifichi proprio ciò che intendeva combattere, ossia che si affermi e si consolidi sempre di più, e con sempre maggiore forza – in quanto conseguenza dell’annullamento del mandato edenico – la disattenzione ormai palese che l’attualità contemporanea ha maturato nei confronti dei giardini, o nei confronti di quelle che oggi si definiscono “aree verdi”, “polmoni di verde”. Aree che in realtà, benché nelle metropoli ad alta concentrazione, sul piano della progettazione urbanistica, fin dal loro sorgere fossero state ampiamente previste, hanno finito con l’essere ridotte se non cancellate, in funzione del sempre maggiore prevalere di interessi speculativi sul territorio. Tali aree sono andate via via riducendosi, soprattutto in ragione della scarsa considerazione – se non di una vera e propria svalutazione – dello spazio dei giardini, in quanto spazi non produttivi, da cui è scaturita una conseguente riduzione o soppressione di cura, da parte della società attuale, anche nei confronti di parchi e “aree verdi” già esistenti. Le segnalazioni accorate, nostalgiche, sconfortate e disincantate di Rosario Assunto che denuncia il carattere di estensione incontrollata delle attuali metropoli prive di “centro”, e quindi prive di giardino, suonano insieme da monito e da estrema speranza per l’incerto futuro.
Fiorangela Oneroso
Pagine estratte dal volume “Nei giardini della letteratura” Editrice Clinamen, 2009
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