Dopo avere letto “Il giardino in movimento”, Quodlibet, 2011, e osservato il suo ricchissimo apparato fotografico, si ha la definitiva sensazione che il termine giardino non abbia nulla a che vedere con l’impalcatura ideologica propugnata da Gilles Clément. Non è possibile, infatti, riferirsi all’etimologia del termine giardino come luogo chiuso, recintato, protetto e pensare di poterlo estendere a tutto l’ecosistema del pianeta terra, concludendo che quei tenerissimi campi fioriti e caotici, informi se non per qualche sentiero in essi ritagliato, siano giardini. Non farebbe meglio Clément a condurre la sua battaglia ecologica insegnandoci ad amare qualsiasi aspetto della natura, anziché condurla contro i giardini, così come ci sono stati consegnati dalla tradizione?
Il suo attacco ha di fatto come obiettivo proprio quello di opporsi al giardino - qualsiasi forma esso abbia assunto - contrastando, dunque, insieme al giardino, la selezione, l’intervento umano che impedisce il naturale sviluppo della flora e della fauna, e quel marchio di potere che inevitabilmente esso reca impresso. Perciò ci pare che non dovrebbe utilizzarne nemmeno la nomenclatura dopo averla totalmente svuotata. Né ci sembra che al giardino si possano attribuire le colpe di essere causa di un ambiente compromesso e minacciato, né accusarlo di essere il simbolo di quel potere che ha nello sfruttamento intensivo delle risorse il suo precipuo interesse. Crediamo invece che esso non sia che una manifestazione tra le tante della creatività umana e persino costantemente minacciata. Potesse, invece, essere la terra piena di giardini! Quando si guardano le belle foto del libro, con i vari esempi di campi in cui la natura è stata lasciata libera di esprimersi - in cui cioè semplicemente non si è intervenuti - innegabilmente si avverte la sua potente bellezza e si è indotti alla contemplazione, che in ogni caso essa suscita. Ma da una natura a cui non si impone nulla alle forme artistiche del giardino c’è un salto sostanziale che a Gilles Clément semplicemente non interessa.
Oggi, l’attuale orientamento prevede un’integrazione tra le diverse componenti che agiscono in un paesaggio, anzi esso è visto proprio come risultato del rapporto tra elementi ‘culturali’ ed elementi ‘naturali’ e ciò supera definitivamente la dicotomia tra culturale e naturale, tra le componenti estetiche e le componenti ecologiche. Esse prese singolarmente sono parziali rispetto alla totalità ravvisabile in un paesaggio, il quale va gestito con il concorso di tutti gli apporti disciplinari necessari. La diversità va salvata non solo in campo biologico, ma anche in campo culturale, mentre ci pare che Gilles Clément voglia sostituire interamente il suo abusato concetto di giardino a quello tradizionale. Ancora un’altra riflessione va fatta, ma qui si può tranquillamente ricalcare l’estratto di Alain Roger dal suo libro “Breve trattato sul paesaggio” Sellerio 2009, che lo stesso Clément ha inserito in appendice al suo libro, sulle differenze esistenti tra paesaggio, ambiente e valori ecologici: anche Roger nota che Clément utilizza questi termini dopo averne ampliato troppo le definizioni, fino a renderle quasi sovrapponibili. In definitiva, i valori ecologici vanno difesi a oltranza da tutti, ma non c’è alcun bisogno di soppiantare l’idea di giardino, snaturandolo.
Rosa Pierno
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