I
La nuova serie di quadri neri, ove solo una sola linea corre sulla superficie sgraffiandola, incidendola per farne emergere un liquido luminoso che si cela tra la pellicola di cera stesa con la tecnica ad encausto e la tavola di legno e ove in lontananza, sospinta sullo sfondo come lo sarebbe un’apparizione che non voglia spaventare il suo ospite, sta una forma fumosa e indefinita, sono il teatro in cui ha luogo un dialogo impossibile ancor più che improbabile.
Dialogo che ci pare incompossibile perché linea e superficie riposano, ancorché su differenti piani, anche su basi concettuali diverse. Inoltre, la linea che stentatamente si scava un suo percorso non è segno e la forma che immaterialmente si svolge non è figura.
Questa instabilità è dovuta naturalmente al fatto che si tratta di una immagine e non certo di un testo. Eppure il significato è convocato per connotazione diremmo e la figura per analogico condensarsi.
Forse solo a questo punto potremmo essere in grado di dire che il dialogo, miracolosamente, si attua dinanzi ai nostri occhi: che la linea ci sembra una probabile proiezione del contorno della forma, che la forma traduce l’adombrata sostanza della immaginaria superficie circoscritta dalla linea.
II
D’altronde, nel guardare un’altra opera di Peter Flaccus, dove la forma acquisisce centrale evidenza occupando buona parte della superficie e risultando maggiormente sostanziata dalla più densa consistenza del pigmento bianco, il quale ancora svapora lungo le linee frastagliate del contorno, scorgiamo la scaturigine della sua formazione, riconosciamo una linea, quasi per via di togliere.
Il dialogo si atta qui in senso invertito rispetto a quello che avevamo colto nella precedente osservazione, mostrando come linea e forma non necessariamente sono distinguibili in maniera separata, né contrapposti. Qui, una classificazione sarebbe fuor d’ordine e la pittura fuor di natura.
III
Ed è ancora sul filo della indistinzione che si gioca questo nostro terzo tentativo di lettura delle opere di Peter. Ambedue riposano su un medesimo piano che è quello del supporto ligneo: linea sembra galleggiare sulla superficie, esilissima e stentata, mentre spugnoso calice sembra fluttuare nelle acque di un profondissimo mare.
Spazio rappresentato non è che illazione, eppure pluriforme, plurisemica. Superficie pare dissolta, spazi abissali si dispiegano in un ulteriore paradossale accostamento.
Le opere di Peter Flaccus sono opere che richiedono contemplazione: quella che si effonde nella durata, che pretende sospensione di canonico giudizio, di ordinato incasellamento. Seguire l’incerto percorso della linea o le liquide evoluzioni delle forme in espansione richiede capacità di pensare non in termini definitori, ma di trasformazione.
Rosa Pierno
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