Pubblichiamo solo l’ultima delle tre sezioni della nota critica “Jane Eyre, lingua di fuoco” pubblicato nella rivista “malavoglia”, giugno 1997.
Jane Eyre: il cerchio
Prima di tutto l’incipit. Poiché non v’è dubbio: fin da esso Jane Eyre ci cattura (dovremmo usare il verbo “to dragoon” – troppo rigido, ma sui piccoli spazi ha ragione Maurice de Sausmarez: “il centimetro si batte per la sua vita”)
Anni fa, 1988, con Tecniche dell’esordio nel romanzo europeo B. Traversetti e S. Andreani affrontavano la fenomenologia del “gesto d’avvio del romanziere”, “luogo organico” che può suggerire “un massimo d’anticipazione informativa” o limitarsi a qualche segnale d’orientamento. Secondo C. Gorlier ormai a insistere sulla crucialità dell’incipit nei testi letterari sfondiamo porte aperte; non è inutile però, ovvia la specifica rilevanza d’ogni esordio, sottolineare che quello di Jane Eyre si colloca fra i più notevoli: sembra semplice, spoglio com’è di preamboli, ma proprio non agevolando il lettore, non aiutando – diciamo- l’incipit della sua esperienza di lettura del racconto, scardina norme, re-inventa alternative. Non si è alla nudità dell’esempio che Erich Auerbach, 1942-45, traeva dalla Bibbia per opporlo allo stile omerico: “Dio tentò Abramo, e gli disse: ‘Abramo!’ Ed egli rispose: ‘Sono qui!’” Non ci vien detto dove è Dio e perché vuol tentare Abramo, e dov’è costui, se “a Beerseba nel paese dei Filistei o in altra parte” e se “in casa o sotto le stelle”, e quale sua attività Dio interrompe; nemmeno ci sono alberi, fiori, cielo, buio, luce diurna a indicare l’ora e la stagione. No, l’esordio di Jane Eyre non è così scheletrico. La natura occupa subito le prime righe, decide il punto di partenza, è il vero “gesto d’avvio” dell’io narrante: pomeriggio novembrino, nuvoloso, piovoso. Quando nella seconda pagina spettrali illustrazioni di un libro attirano la piccola protagonista (Nuova Zemblja, Siberia , Lapponia,Islanda, Groenlandia , poi l’immane serbatoio artico del ghiaccio cumulatosi in centinaia di inverni vetrificati), il maltempo novembrino si allea con “regni di morte bianca” per preparare il lettore alla squallida solitudine di una fanciullezza. Tableaux – o grandi scene: V. R. Chase, 1947 – formano un asse narrativo che cerca sempre equilibri; la natura vi dispiega litigiosi elementi terrestri e agenti atmosferici, si fa essa stessa teatro, dramma, recita, coordina la rispondenza con le tappe dell’azione umana (D. Lodge). Da episodio a episodio “la guerra degli elementi naturali” accompagna Jane Eyre, e il ghiaccio torna più volte, inasprendo pene fisiche, travagli interiori. Così un pomeriggio novembrino e la “morte bianca” schiudono ad altre sequenze nelle quali compaiono identiche metafore, immagini. Ma solo pian piano il lettore potrà orientarsi: circa la situazione famigliare a Gateshead Hall lo ragguaglierà il secondo capitolo, sebbene in modo obliquo, con estrema economia, accenni ridotti all’osso. Perché l’orfanella si ammutina(mutiny, ammutinamento nel testo), e la rabbia versata fuori, urlata, è il dato più importante per gli sviluppi futuri, la lingua di fuoco, il rovescio del freddo. Su scala minore, senza miti leggende divinità eserciti e tutta la gloria dell’epica, questa ira ripropone quella di Achille. Jane non vive inter pares, il repressivo mondo classista dei privilegi maschili la respinge, ma lo scatto libera una forza che non si farà domare più. Teso dunque al futuro l’esordio di Jane Eyre (come ogni esordio), ma il suo futuro è l’epilogo con una Jane adulta ormai in pace e decisa a narrare di sé. Raggiunto il traguardo la Jane a mezza via fra Achille e la Harlequin si volge indietro e dipana i ricordi. Come stabilire allora qual è realmente l’inizio? Il racconto “autobiografico” ha implicita, per la sua stessa struttura, tale ambiguità. Gli studiosi Traversetti e Andreani si interrogano: sappiamo “dove comincia un incipit (…); ma dove finisce?” Quando “il luogo letterario che oggi chiamiamo incipit” termina nel “sistema pre-scienza” e il “racconto dimette la su volontà propedeutica”? In Jane Eyre – narrazione il cui controllo viene dall’epilogo – i due opposti poli sfumano nella forma del cerchio perché la solitudine d’una bambina avida d’amore e giustizia e le successive vicende sono l’esperienza che è la Jane adulta a narrare, significano il recupero della memoria. Bambina e donna iniziano e proseguono insieme, facendo coincidere passato, presente e futuro.
Angela Giannitrapani
Biografia. Angela Giannitrapani (1925-2009) ha insegnato Italiano alle Università di Birmingham e di Los Angeles e in seguito alle Università di Messina e di Viterbo quale ordinario di Letteratura Angloamericana. Ha dedicato studi e saggi a Faulkner, a Beckett, a Dylan Thomas e ad alcuni autori dell’Ottocento americano. Autrice di numerose opere di narrativa e di poesia, ha diretto la rivista "The Blue Guitar" e, con Attilio Bertolucci, la collana di traduzioni "La mela stregata"; è stata nella redazione di "Tempo di Letteratura" e "Tabella di marcia", infine ha diretto con Maria Clelia Cardona e Marisa Tolve "malavoglia", rivista di narrativa contemporanea.
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