Regia: Valeria Golino; Origine:
Italia - Francia, 2013; Durata: 1h 36’; Distribuzione: Bim; Genere:
Drammatico; Cast: Jasmine Trinca,
Carlo Cecchi, Libero De Rienzo, Iaia Forte, Roberto De Francesco; Sceneggiatura: Francesca Marciano,
Valia Santella, Valeria Golino; Fotografia:
Gergely Pohárnok; Montaggio: Giogiò
Franchini; Data uscita in Italia: 1°
maggio 2013
Miele, nome di servizio della giovane Irene, è un
‘angelo della morte’. Aiuta, dietro compenso, le persone sofferenti a mettere
fine anticipatamente a una vita divenuta ormai insostenibile a causa di
malattie terminali. Vola periodicamente in Messico per procurarsi i barbiturici
di uso veterinario da somministrare ai ‘pazienti’, scarica in rapporti sessuali
senza futuro e nel contatto catartico con l’acqua del mare l’angoscia di un
lavoro sporco, i sensi di colpa di una missione eticamente borderline. Tutto
cambia quando a contattare la ragazza è il maturo ingegnere Grimaldi, deciso a
farla finita pur godendo di una salute di ferro. I conflitti interiori latenti
esplodono definitivamente e tutto viene rimesso in discussione.
L’esordio alla regia, dopo una venticinquennale
carriera di attrice e un’esperienza preparatoria con il corto “Armandino e il Madre”, di Valeria
Golino avviene dalla porta principale del cinema d’autore. “Miele”, liberamente
tratto dal romanzo “A nome tuo”, di
Mauro Covacich, riporta il cinema italiano, a breve distanza da “Bella addormentata” di Bellocchio, a
riflettere sul delicato tema dell’eutanasia assistita. La coraggiosa scelta
della neoregista napoletana, supportata produttivamente dal compagno Riccardo
Scamarcio, è affidata a un rigore stilistico e a una confezione estetica di
grande pregio espressivo. La fotografia bluastra e il sofisticato montaggio
sonoro creano un’atmosfera sospesa e irreale, che aiuta Miele a mantenere la
sua invisibilità, piombando nelle abitazioni dei suoi assistiti, in giro per
l’Italia, per poi sparire nel nulla. Con encomiabile pudore, la Golino si
sofferma sulla preparazione del rito del trapasso, ma sottrae alla vista i
drammatici istanti della morte.
“Miele” è un film che scava negli interstizi del disagio
esistenziale, intrufolandosi con garbo e rispetto nei territori del dolore,
fisico e spirituale, dell’umanità. Un’opera dal respiro internazionale, non
solo per le sue aperture geografiche ma anche per l’universalità del messaggio,
che invita a interrogarsi sui confini dell’etica. Il pentimento che si
impadronisce della ragazza, preoccupata per le sorti dell’ingegnere a cui ha
con leggerezza affidato la letale sostanza, diventa l’indovinato escamotage
narrativo per mantenere alta la tensione e la suspense fino alla fine. Nessuno
vuole morire veramente, osserva Miele, che ha nell’androgina ambiguità facciale
di Jasmine Trinca la traduzione attoriale di un profondo dilemma morale. La
carismatica figura di Carlo Cecchi, riecheggiante la stanchezza e la noia di
vivere antonioniana, è il detonatore per spingere la ragazza a riconsiderare la
sua attività, a spegnere la musica in cui si è rifugiata per sfuggire al
rimorso e a guardare finalmente negli occhi la vita, che scorre oltre la morte.
Giuseppe Borrone
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