giovedì 11 ottobre 2012

dalla nota di Gilberto Isella su "Artificio" di Rosa Pierno

LIBRERIA NERO SU BIANCO

Via degli Spagnoli 25 ─ Roma, 17 OTTOBRE ore 18

Nell’ambito delle serate di poesia Cartapesta cartacanta: dichiarazioni clandestine
a cura di Mariangela Mincione e Mario Quattrucci

presentazione del libro di ROSA PIERNO "ARTIFICIO" Ed. Robin 2012

presenta GILBERTO ISELLA


Un estratto dall’introduzione a Artificio / Amore fossile di Gilberto Isella

Cos’è l’artificio se non l’ars concepita nel suo splendore fenomenico ‘innaturale’? La passione vale in quanto tékhne, ogni gesto poggia su un intrico strutturale ordinato da un invisibile Altro. Come dire: se qualcosa si libra nell’immaginario (“fantastica visione”) deve anche formare dispositivo, matema in progress (“carta geografica”, “diagramma”, idest testo) . Ci soccorrerebbe a questo punto l’ipotesi di macchina desiderante, avanzata da Deleuze e Guattari, ma già la trattatistica d’amore manieristica e barocca ne aveva, coi suoi congegni retorici replicanti, anticipate ambizioni e mosse. Per lo scrittore barocco, come per Rosa Pierno, il mondo-testo o il mondo-teatro (vedi Calderòn) è produzione dell’ars, capace di ricreare un simulacro di vitalismo cosmico coniugando l’agudeza della forma con la meraviglia dei sensi.

“Assoluto artificiale coincide con la più vivida realtà” (Artificio).

Dove il modus operandi fa tutt’uno con la sottigliezza degli strumenti. Una ratio phantastica abilitata a promuovere compattezza entro il diffuso, ma che abolisce, proprio per il suo potere metamorfico, peso e staticità strutturali. Grazie alla regia di Rosa, la struttura non si prostra all’immobilità; diviene al contrario onda viva, mobile serra affidata a una sorta di gaia scienza. I cui fiori più teoretici crescono in Amore fossile, i più affabulanti in Artificio. Ma senza l’affanno dei ‘distinguo’, siccome tutto sembra posto in circolo e fluidificato da quello Spieltrieb di cui Schiller aveva scoperto l’essenza.

“Di questa cartografia d’amore si tenta, qui, di ricostruire il perduto testo attraverso un mosaico composto con citazioni prelevate da varie fonti: testi classici e memorie personali, il tutto impiantato in un terriccio misto a detriti e reperti, in cui ciò che è antico è riportato alla luce e ciò è attuale proviene da atavica memoria. Passato e presente senza distinzione” (Artificio). Portando alla luce svariate stratificazioni del tempo, lo scavo archeologico paradossalmente abolisce il tempo. O, se si preferisce, lo affida alla riabilitante, misteriosa mappatura della memoria, quindi a un’altra scena, la scena a più dimensioni del “perduto testo” in via di risarcimento. E allora la diacronia s’invera in sincronia, che fa sedimentare le narrazioni in figuris e distribuisce ogni tappa ‘figurata’ in numerosi loci (capitoletti) secondo un criterio tematico ‘rapsodiante’ (soprattutto in Artificio). E secondo un itinerario di scrittura che, evocando i loci mnemotecnici di Giulio Camillo, s’appoggia alla ricorsività tramite il refrain musicale (esaltato da giochi di ritmi e assonanze) e, in generale, alle corrispondenze biunivoche tra i due insiemi - Amore fossile e Artificio - siano esse palesi o occulte.

Dalla memoria irradiante, ideale patrimonio di un meta-soggetto che inalterato trascorra gli eoni, questa speciale mappa riceve, in mezzo a “detriti e reperti”, la sua geometrica legittimità. Irradiamento a più vettori: vi contribuiscono sia l’ermeneutica virtuale (e virtuosa) custodita dalla cultura nei secoli – sufficiente a destituire l’illusoria ‘naturalezza’ del cosiddetto mondo fenomenico, nel contrapporvi un conflittuale-ludico dispositivo di segni ‘pensanti’ – sia l’anamnesi e l’autoscandaglio di un soggetto inteso, nella fattispecie, come singolarità: “Come se fosse uno specchio, il soggetto riflette l’intero universo” (Amore fossile). Sapienza antichissima, codificata fin da Ermete Trismegisto: “Tutto ciò che è in alto è come ciò che è in basso, tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto. E questo per realizzare il miracolo di una cosa sola da cui derivano tutte le cose” (Tabula smaragdina). La mappa è dunque, in qualsiasi parte vi cada lo sguardo, luogo d’incontro di linee o grafi che connettono micro e macro, alto e basso, dentro e fuori, visibile e invisibile. Labbra del cielo e della terra ne muovono le parole, mentre il suo ‘codice di caccia’ si evince da quella teoria dell’analogia universale già formulata da Campanella: “Infilo corridoi e sparisco dietro angoli. Oscure simpatie collegano le nostre membra” (Artificio). Analogie fecondate da spiritus phantasticus, cariche al punto di condurre al parossismo l’ordine speculare chiamato a supportarle, fino a rendere disorientanti le sue manifestazioni, tra corpi anamorfici e sfasature assiali. Sta di fatto che lo speculum originario è perduto. I frammenti che se possono reperire giacciono nelle segrete degli artificialia: pròtesi umane di uno smarrito sguardo dell’Altro, quanto però basta per ricomporre uno specchio d’amore. Mutevole vibrare d’onde, eco d’incrinamenti, cliname per così dire sospeso nel nulla. Il resto va ascritto alla mera oscurità, al non vedere: “Stato del non amore è vuoto teatro, polveroso palco” (Amore fossile).

Sull’immane deposito dei sedimenti memoriali vigila, con dispotismo, Amore. Ossia il dio-prolegomeno sotto le cui ali l’agire creativo esibisce innumerevoli partiture, proprio mentre dichiara l’insensatezza del loro intricato volvere e involvere dentro vortici di sinestesie. V’è dunque un grano di follia negli stratagemmi con cui l’opera attira su di sé il demone sinestesico? “Parole e musica, nella loro insopprimibile autonomia e irriducibile diversità compongono il testo della insensata storia d’Amore” (Artificio). Rosa sa gestire in maniera ammirevole il dis-senno, questa insensatezza paradossalmente produttiva che dà vita ai microcosmi segnici, altrettante anticamere dell’amore. Produttiva, perché l’accumulo intravisto dentro gli abissi visitati dall’horror vacui – reperti inorganici, astrazioni concettuali, figure, segni e segnali posti in ‘enumerazione caotica’ – non è dispersione, supplementare sparpaglio di vuoto, ma stimolo per necessarie relazioni ontologiche. Amor sicut coniunctio: “A gettare segni nel fossato di cui non si percepisce il fondo, e qualsiasi cosa, ritagli, lacerti di stoffa, conchiglie, foglie, vocaboli, lettere e figure, ellissi e vortici, si crea un’inusitata via, non visibile a occhio nudo, con cui si ristabilisce una rinnovata relazione tra ciò che è separato” (Amore fossile).

L’”inusitata via” corrisponde al sentiero che nei labirinti del confuso-irrelato porta a relazioni di livello superiore. Suo contrassegno è il figurale (nel senso di ‘altro spazio’, ‘spazio del desiderio’ avverso al linguaggio lineare, secondo Lyotard) mediante il quale la conoscenza si amplia, complessifica. Accogliendo senza condizioni il magnetismo del sensibile – dove a garantire è sinestesia - la ratio umana si equipara alla bellezza: “Oh, meravigliosi fiori in musicali accenti nominati!” (Artificio). Ma già il mitografo antico sapeva che ogni forma alta di conciliazione, nell’arte, passa attraverso il fascino “disdicevole” dell’ibridarsi: donna-pesce, uomo-cavallo, persino maschio e femmina incerti nei loro sembianti sessuali. Creature disdicevoli ma potenti, artefici di repulsione ma nello stesso tempo di eros. Di riflesso, l’artista consapevole che “fantasia e natura sono inclini a scambiarsi di posto” (Artificio), e soprattutto che nulla, more naturae, si concilia, sintonizza il suo desiderio su ciò che, facendosi corpo al di là degli ‘schemi di natura’, testimonia in modo verace la coincidenza degli opposti.

E così avviene l’incontro con il monstrum, dentro e fuori di noi. Il mostro-attore-maschera che calca il palcoscenico artificioso della vita, colui che sperimenta il ludus malinconico (quel navigare, fin dall’età barocca, tra reliquie oggettuali umanoidi), in un irrequieto concerto di tropi dove la sinestesia sposa l’ossimoro e ogni creatura si scopre entità ana- e metamorfica. Il mostruoso non è che effetto del mostrare, evidenza portata all’eccesso, mentre l’eccedere, da parte sua, declina l’accadere in forma di turbolenza: “Amore è moto turbinoso di schizzato concorso, di commistamento”. E ancora: “Dialogo, lotta, caduta e trionfo senza soluzione di continuità” (Artificio). Si tratta comunque di eccedenza euforica, non raccapricciante, intrisa dello stesso logos spermatikòs che feconda le metamorfosi salvifiche, in ultima istanza l’arte: “Vi è un’arte della metamorfosi che è strumento di salvezza in un mondo privo di sospiri e ambiguità” (Amore fossile).

                                                                             Gilberto Isella

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