domenica 4 settembre 2011

I quadri-scultura di Mats Bergquist

Quadri-scultura: non credo si possano definire diversamente le opere di Mats Bergquist, il quale parte da supporti lignei e con un procedimento laboriosissimo giunge a un oggetto volumetrico: le sue opere hanno superfici concave o convesse su cui la mano può – deve – scorrere per sentire la levigatezza che l’artista ha ottenuto attraverso i molteplici passaggi che sono vere e proprie vie esperienziali: sottilissimi strati materici con cui viene letteralmente costruita la consistenza fisica del quadro (colle, gesso, pigmenti, gesti abrasivi e tecnica ad encausto su legno e successivamente su tela) equivalenti a pellegrinaggi, gesti che consentono un’ascetica partecipazione per giungere all’essenza. Ancora una volta l’immanenza non è disgiunta dalla trascendenza, secondo l’indicazione di Walter Benjamin.     

Vi è totale assenza di segni, siano persino quelli che la stesura potrebbe lasciare sul pigmento. E’ per questo, osiamo dire, che l’opera subisce così tante stesure: si deve ottenere una superficie simile a quella degli smalti: sparita qualsiasi possibilità di recepire la traccia di uno degli stati precedenti, la sublimazione sarà allora un processo in cui sono sparite le fasi costruttive, lo sforzo fisico e mentale, le tracce del lavoro necessario per giungere all’aspetto finale. Sublimazione è salto di scala, è visione diversa, liberata, ma non dal fisico, non dai sensi. Accediamo a questa diversa esperienza mentale proprio attraverso essi. Il lavoro dell’artista sarà consistito nel trascendere i sensi, eliminando rozzezza e stati spuri.

Se il tempo è elemento coinvolto nell’ottenimento di una simile opera è anche vero che esso è considerato in maniera implicita: è strumento. E riteniamo che nel risultato finale non sia elemento percepibile in maniera primaria. Non così per lo spazio. Si pensi alle opere realizzate tramite una disposizione/dispersione spaziale. Esse sono collocate sulla parete: i singoli elementi colloquiano fra di loro a comporre la totalità dell’opera e questo parteggia per una netta divisione delle categorie spaziali e temporali. Lo spazio  assume, attraverso la collocazione di queste opere/frammento il valore di uno spaesamento/ricongiunzione. I frammenti-opera si ricongiungono anzi, solo nella spazialità. E’ nello spazio che si ha l’unificazione, che si giunge alla totalità.  Segno che l’ascesi si spazializza ma dissolve il tempo, lo volatilizza. Anche lo spazio, comunque, avrà perduto i segni che lo particolarizzano, la parete in cui sono collocati gli elementi non sarà più riconosciuta come parete specifica.

E’ in questo senso che il lavoro di Mats Bergquist si avvale delle denotazioni  di equilibrio e di peso, delle relazioni di moto simmetrico, degli accenni di rotazione, in una vera e propria collezione di relazioni spaziali, ove il colore (monocromie, bicromie, tricromie) partecipa alla determinazione di equilibri, forze e moti (con il colore vengono create croci che ritagliano quadrati e rettangoli). Qui ritorniamo al concetto di quadro-scultura da cui eravamo partiti.  Le opere di Bergquist, pur avendo come immediato riferimento visivo l’opera di Piet Mondrian, di Theo van Doesburg, di Kazimir Malevic si pongono in singolare posizione poiché l’astrazione in loro non è la medesima che in Bergquist. Le opere di quest’ultimo afferiscono all’arte astratta, la quale si esprime esclusivamente attraverso rapporti, tuttavia esse esprimono non solo rapporti tra gli elementi plastici (linee, piani, volumi, colori), ma anche un rapporto con l’esperienza in metafisica, ovvero sono un  sistema complessivo di oggetti già essenzialmente gnoseologici.

                                                                                                  Rosa Pierno

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