Un ingresso nel nero prelude a un percorso dove solo la vista viene oscurata, ma non certo i restanti sensi, che, anzi, risultano amplificati. Effettuiamo quest’esperienza insieme a Ranieri Teti attraverso la lettura del suo ultimo libro “Entrata nel nero”, Edizioni Kolibris, 2011. Il percorso si situa fra l’incerta zona dell’insonnia, in cui la realtà appare già alterata da una costretta attenzione che gira a vuoto: “tra i luoghi preferiti dell’insonnia / passa la notte nella sua opera / / trasportare la superficie / in cerca di profondità” e quella del dormiveglia, in cui le cose smottano tra significati che presentano addirittura due diversi punti di vista: “Tra non ricordare e non dimenticare / / nel passaggio da una mano / che stringe a una che saluta”. Già questi primi versi presentano un spazializzazione, una scenografica localizzazione, in cui ci rendiamo conto che non è affatto vero che la vista sia oscurata, solo si fa riferimento a una visione altra, di cui stiamo scoprendo, mentre ci inoltriamo nella lettura, le diverse caratteristiche: la disgregazione, lo smembramento, lo scollamento di cui è responsabile un tempo amplificato da un diverso regime dello sguardo: quello mentale. Ne risultano alterate le distanze, le sostanze si decompongono o si dissolvono, il movimento si distacca dalla sostanza che lo genera. Questa dissolvenza, che fa compiere ai corpi un trapasso sostituendoli con le loro ombre, rendendo le voci indistinto eco, non provoca dolore, consente di restare sull’orlo del precipizio ove il nero del giorno si tramuta in sostenibile attesa: “in una terra respirata più volte si allontana / la destinazione che diserta nel suo contrario”. Se nella realtà è il corpo con l’arto scomposto, le viscere e lo scheletro, in quest’altra dimensione visiva è possibile riascoltare le voci, è quasi possibile la reversibilità del tempo: “con la fine nel chiaro del vero / ecco l’andare che ritorna nelle vene // questo movimento staccato del sangue / porta notizie di tutte le scomparse”. Non sarà risolutore dimorare in tale regno. Non si perde la consapevolezza del rimedio parziale e lacunoso, dell’illusorio ripiegare in un gomito del tempo, in un passaggio senza direzioni, in un bianco che assedia i colori:
mentre si cambia colore
non dice del nero il bianco
nelle due finitezze pensata
la fine di ogni fine legata
all’inizio di tutti i partire
pensata una parola abitata
mentre si cambia dimora
La perlustrazione del luogo raggiunto è costruzione in fieri. Qui risiede, a nostro avviso, il valore fondativo della poesia: quella a cui noi assistiamo non è la descrizione di un’esperienza, è la creazione di un paradigma esperienziale, diremmo: “estraneo questo specchio che flette volumi / vacilla mentre resiste uno scarto sonoro / che chiede ancora di riprodurre soglie” dove sono convocati gli elementi e vengono tra di loro allacciate relazioni, ove si associano concetti confliggenti “un dove prolungato tra ascesa e declino”, ove si metaforizzano astrazioni “tra ultime porte la memoria delle cose” che è anche un inventarsi il modo di sopravvivere a esperienze dolorosissime, di resistere per non perdere riferimenti e valori. La poesia vi assume un ruolo salvifico in quanto strumento conoscitivo, costruttivo. Il prezzo che si paga per la dislocazione differente tra io percipiente e io riflessivo, tra io in stato di veglia e io in stato inconsapevole è anche mezzo per agire su quanto della nostra esistenza è dovuta a semplice ricezione, sul modo in cui impariamo a usare il linguaggio, ad esempio, o sulle esperienze stratificate nello stesso e sul modo in cui possiamo noi stessi crearne. Una specie di paradossale uscita consiste, infatti, nell’usare il linguaggio a piene mani: “fino alla radice che nasconde la fine / la vastità del fuoco è tutta nell’aria / nella prova d’inaridirsi tra ceneri e terra”. La lezione di Blumenberg sulla rigidità dei concetti e la possibilità di utilizzare le metafore per allargare i cerchi della significazione e inglobare altri sensi è la cornice di riferimento che vogliamo chiamare a sostegno della nostra lettura. La “biografia dell’oscurità” che Ranieri Teti letteralmente progetta, una biografia separata dall’esistenza, si delinea sulle pagine in maniera sempre più consistente e materica. Ed è appunto ciò che fa di questa sorta di viaggio iniziatico una continua sfida lanciata ai bordi, ai confini, alle soglie, ed essa è lanciata anche allo sguardo, alla sua possibilità di visualizzare i concetti intermedi, l’invisibile:
aderire al punto di vista della foce
un riflesso che si allunga nel buio
la meta inabissata nell’opaco
qui non ha colore il rovescio dell’onda
né profilo la costa guardata dalla notte
La sfida da realizzare consiste nel trovare: “parole per cose vacanti” per “possedere stretto un non avere” e dove sarà la voce ad aver guardato per prima. Non sarà che un possedere l’inconcluso. Non sarà che un essere scritti. Ma anche aver scritto un bel libro.
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1 commento:
Grazie per questa acutissima lettura.
Desidero augurare a questo spazio "trasversale", così connotato di unicità, ogni fortuna. Ranieri
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