mercoledì 2 marzo 2011

Pittura e poesia. Sandro Chia e Susan Stewart. Una mostra a cura di Pia Candinas

Incontrai la ragazza che reggeva il fiore e lo specchio

Incontrai la ragazza che reggeva il fiore e lo specchio
e il ragazzo che mandava il suo cerchio fino al dio.

Metti via le cose infantili, dissero, ed entrarono
nel futuro. Erano fatti di terracotta,
la loro tenerezza intatta

Inizia così la poesia Lavinium di Susan Stewart. Il suo linguaggio semplice e essenziale non è forse in perfetta sintonia con i dipinti di Chia? Questi grandi datori-di-forma, il poeta e l’artista,  hanno entrambi mantenuto “…la loro tenerezza intatta”, e non c’è da stupirsi se io posso così facilmente vagare dalla terra dell’uno a quella dell’altro e viceversa, senza bisogno di passaporto o bagaglio.

Versi, parole e singole lettere sono importanti per Chia. La sua stessa poesia, i suoi scritti e i suoi titoli ci aiutano a comprenderne la visione. Qua e là troviamo rime taglienti o suggestivi giochi di parole scarabocchiati nei suoi dipinti, i cui temi sembrano derivare dalla letteratura e dalla storia dell’arte. A sua volta, Susan Stewart scrive finissimi saggi sulle arti visive e colma le sue liriche di nomi di colori, di potenti immagini visive e citazioni dalla pittura. Nell’opera di ognuno si percepisce il ritmo di musiche e danze arcaiche, e si respira l’aria dei campi e dei boschi italiani.

Semplici solo in apparenza, le strofe anglosassoni di Susan Stewart corrispondono in modo straordinario ai rudi blocchi di chiaroscuro e alle pennellate  massicce di colore di Chia.  Entrambi sono introspettivi e insieme inseparabili dalla natura e la loro attenzione non viene distratta dalla realtà contemporanea, perché invisibili fili li collegano fino a noi attraverso l’arte classica e moderna. Se, in rari momenti, paura, dolore e indignazione si affacciano nell’opera della poetessa americana, nel mondo di Chia, al contrario, non c’è motivo di angoscia. Spirituali e riposanti, le sue figure mitemente reclinano il capo, come se davvero fossero gli abitanti dell’ Età passata di Susan Stewart, quando “le persone erano miti come agnelli…”.

Ognuno dei due si protegge da ogni tipo di ingenuità e mitezza. Sandro Chia continua a lavorare nel suo stile sfrontato e iconoclasta che aveva imposto al mondo dell’arte già trent’anni fa, con la sua virile irriverenza. I suoi figliol prodighi sono inclini agli azzardi dissacranti, che lo avvicinano ai grandi nudi e al dinamismo dello spazio volumetrico del Barocco. Un’energia vitale (quei rossi e quei verdi) piuttosto erotica, pervade il lavoro di entrambi. Susan Stewart, erudita, precisa e raffinata, è come un bambino che attinge a una vena creativa antica ma libera: infatti sperimentiamo forme sonore e visive che sembrano fluire incontrollate e inspiegabili dall’immaginazione. Il pittore e il poeta lasciano così una traccia di immagini prorompenti, naturali, veloci e spontanee, come le azioni improvvise e imprevedibili di un’arte marziale.

Per questa mostra al Frantoio di Capalbio (30 maggio 2009) Sandro Chia ha appositamente creato una nuova suite di lavori su carta. Se sulla tela, a olio e su grande scala, Chia dà alle sue apparizioni solitarie una fisicità e una consistenza costruita – un po’ come uno scultore fa con l’argilla – sulla carta le stesse figure diventano più lievi, quasi agili, gestuali e spontanee: più vicine a pensieri effimeri che a cose. In Note del giorno (2007) Chia scrive "Il disegno è il fondamento di ogni cosa. E' bello guardare il mondo delle forme che mutano, con un album e una  matita in mano.  Anche quando una forma sta evaporando al sole, è completa e visibile agli occhi di chi disegna, o dipinge. Quando una forma è meno visibile perché liberata dalla propria sostanza, per esempio la forma di un busto di donna con i seni ben delineati che vedi in una roccia o la corsa casuale delle nuvole, il pittore ne fa subito un’immagine”. I contorni frammentari di queste figure disegnate hanno bisogno della collaborazione dello spettatore, che li completa con la sua immaginazione. Il loro pathos è il nostro, acquisito per proiezione psicologica. Le foreste e i campi brulicano di energia dionisiaca, mentre i personaggi che li abitano sono distaccati e apollinei.

L’immaginazione visionaria va, per definizione, oltre  l’effettività del presente. Quando non è ispirata dalla religione, si sostanzia nell’arte e nella natura. Messe assieme, arte e natura costituiscono la visione pastorale. Certo, l’arcadia è un’invenzione artistica; per questo i robusti sognatori di Chia sono così perfettamente integrati nei loro stessi mondi creati dalla pittura. Il metafisico non è affatto remoto o al di là dei nostri sensi umani, anche se non è né raggiungibile né spiegabile con la filosofia. Quello di cui abbiamo bisogno sono poeti e pittori, e spettatori che stanno al gioco.

Pia Candinas

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