venerdì 11 marzo 2011

Christian Bonnefoi "Membra disjecta" mostra a cura di Pia Candinas

Il titolo della mostra, Membra disjecta, presso la Galleria della temple University, inauguratasi il 3 novembre 2009, fa riferimento a una procedura in uso tra i pittori francesi (Poussin, Le Brun) a partire dal 1600, secondo la quale i disegni preparatori delle figure venivano letteralmente fatti a pezzi e ricomposti, allo scopo di cercare per gli arti (membra) nuove posture prima di giungere alla composizione finale. Una tecnica antecedente al collage cubista di Picasso e Braque ma tuttora poco conosciuta. L'artista lavora con sottilissimi strati di carta, tessuto, adesivi e pittura. I lavori sono appesi direttamente al muro, abolendo così l'utilizzo dei convenzionali telai di legno e danno l'idea di essere leggeri e delicati. Sono invece molto resistenti e creati per durare nel tempo. Con i loro bianchi e neri e quei colori netti e semplici, danno una rilassante impressione di semplicità, richiamando quell'epoca felice di quasi un secolo fa quando gli artisti Francesi inventarono la pittura moderna. Inoltre, a dispetto del formato, questi lavori non hanno nulla a che vedere con la moderna idea di “installazione” ma sono, senza ombra di dubbio, dipinti.

Quando Picasso e Braque inventarono il collage nel 1912, cominciando ad incollare pezzi di tela cerata, carta da parati, corda, intelaiature di sedie, pagine di giornale e altro alle loro tele, resero esplicita l'esistenza materica del quadro, creando una frattura nel confine tra arte e vita. La pittura cubista sovvertì le idee borghesi di cultura “alta” e allo stesso tempo instillò significati nuovi e nuove emozioni nella pittura. Da Schwitters e Duchamp alla Pop Art e agli artisti contemporanei, il collage ha mantenuto e sperimento l’interrogativo sui reali confini nell’arte, e anche per questo lo si deve considerare come un principio fondamentale dell'arte moderna. Anche Matisse diede un grande contributo al collage modernista, tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50, con il ritaglio e gli stencil (Jazz, solo per citare un'opera) che dominarono l'ultima fase della sua carriera. Costretto a letto dalla malattia per lunghi periodi, Matisse ritagliava pezzi di carta colorata in modo da creare forme piene di colore puro; applicava questi elementi ad una superficie, prima solo temporaneamente, poi in maniera definitiva, per una composizione libera e flessibile dell'immagine.

Per capire le origini dell'arte di Christian Bonnefoi, si deve risalire alla fine degli anni '60 e ai '70, quando il dibattito teorico riguardo la pittura stava raggiungendo la sua massima intensità, in Francia più che altrove. La rivendicazione della pittura astratta come definizione di arte “alta” era in crisi. La pittura usciva dall'esame di teorici e artisti, che esprimevano un eterogeneo ventaglio di sistemi analitici e ideologici, più che decostruita – era polverizzata, vicina al punto di non ritorno. In quel periodo, l'influente gruppo francese dei Supports/Surfaces cercava di indirizzare la pittura verso un approccio altamente materialistico. Ma verso la metà degli anni '70, alcuni artisti francesi cominciarono ad allontanarsi da questa posizione estremamente riduttiva e cominciarono a riscoprire elementi, disprezzati formalmente ma senza dubbio utili, quali colore, pennellata, l’illusione pittorica, relazioni compositive, personalità artistiche e riferimenti storico-artistici.

Negli anni '70, Bonnefoi, già teorico competente, filosofo, saggista ed editor, stava scrivendo molto sia di arte in generale che di pittura. In tre esposizioni nel 1978 con il gruppo JA NA PA, espose lavori fortemente contestualizzati, in ambienti “alternativi”. Catherine Millet scrisse “...i riferimenti del gruppo hanno... a che fare con Malevich, la pittura minimalista americana (Ryman) e Martin Barré – in altre parole, con una definizione altamente intellettuale di spazio pittorico.” (Personalmente ho il ricordo vivido, durante quel periodo, di veementi discussioni fino a tarda notte a Roma tra Christian Bonnefoi, l'influente minimalista francese Martin Barré, e il loro amico, il pittore Alain Degange su cosa si potesse e cosa non si potesse assolutamente fare in pittura). Ma la teoria non ha mai risolto il problema di come creare un approccio originale alla pittura; potremmo dire che più la teoria riesce a sancire i limiti e le regole del gioco, più sprona gli artisti – sempre alla ricerca del nuovo – ad eludere le sue prescrizioni.

Per molti anni Bonnefoi dipinse, disegnò, tagliò e incollò immagini su un sottile strato di mussola rigida (tarlatana), che permetteva all'osservatore di vedere contemporaneamente sia il dipinto che il telaio, e di avere così una visione d'insieme di tutte le parti che componevano il dipinto. Bonnefoi ci ricorda che un dipinto occupa uno spazio sia fisico che mentale, a cominciare dal muro fino agli occhi dello spettatore. Nella tradizione delle belle arti francesi, che derivano direttamente dal Rinascimento Fiorentino, colore e disegno sono concettualmente separati; Bonnefoi scarabocchia spesso elementi in bianco e nero sul retro di aree colorate, che sono abbastanza trasparenti da ricevere a posteriori dal disegno una nuova “struttura”. I quattro Nu de dos di Matisse (1908-1930) che, rendendo omaggio a Cezanne, Rodin e Michelangelo, rivoluzionarono l'orientamento frontale convenzionale delle figure scolpite, ebbero una forte influenza su Bonnefoi portando l'artista ad asserire che gli sarebbe piaciuto vedere i “Dos di Matisse da dietro.” Il lavoro di Bonnefoi ci ricorda che un quadro ha ossa, muscoli e pelle. Una figura trasparente è qualcosa in cui fronte e retro sono difficilmente distinguibili – come in un’immagine a raggi x. Il continuo lavoro di Bonnefoi sugli effetti di trasparenza lo porta a concepire riflessioni sempre più acute sui  Dos di Matisse.

Nell'arte di Bonnefoi, le parti che costituiscono il quadro – superficie, cornice, figura, gestualità, colore, disegno, ecc. - non “rappresentano” nient'altro che loro stesse, ma sono vibranti e pienamente districate, definite e ricombinate. Gli elementi sono volutamente anti-espressionisti, addirittura impersonali, mentre il lavoro nel suo insieme ha il fascino di un'ipotesi fluttuante. Come il suo maestro Matisse, Bonnefoi è attratto da enigmi, ambiguità, contraddizioni, ed impasse. La superficie stessa del quadro racchiude in se stessa il proprio venire in essere. Bonnefoi afferma “un mio vecchio sogno è quello di restituire all'astrazione la ricchezza narrativa che dovette abbandonare, nell'infanzia, per poter marcare il proprio territorio”. Nonostante abbia mantenuto la fede nel rigore analitico degli inizi, Bonnefoi sta perseguendo con successo la propria ambizione di far rivivere la tradizione storico-pittorica; i risultati sono davanti ai nostri occhi, in questi lavori espressivi maturi, liberi e raggianti.
                                                                                                                       Pia Candinas

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