Una riscrittura, quella che Elisabetta Salvador e Sergio Sichenze hanno voluto effettuare del loro libro a quattro mani “Nei chiaroscuri del tango”, edito da Campanotto editore, nel 2017 e riscritto nel 2018. Una riedizione nata dall’esigenza di avvicinarsi meglio con la parola alla forma espressiva del tango, trascinante, ma non priva di difficoltà.
La parola sembra misurarsi con le aspettative e il vuoto, non solo, dunque, con la ritmica passionalità della musica argentina, poiché non può essere espresso il tutto con un sola sua parte: è sempre necessario che ciò che si contrappone o contraddice debba essere immesso anch’esso nel circuito definitorio. La parola è qui chiamata a un passo fou, ulteriore acrobazia nella scena della danza!
La riscrittura è, dunque, volontà di portare a perfezione o meglio di misurare il baratro, il tentativo di migliorare un’azione che si sa già essere destinata allo scacco. Eppure, a tale prova non si sa sfuggire perché un avvicinamento incredibilmente si produce! In Elisabetta Salvador, è la misura della disillusione, l’acme di un’emozione che sfuma appena sia terminata la musica. La monade che si dissolve a dispetto del fasto e della ricchezza dell’ambientazione. Per Sergio Sichenze è la ricerca, all’interno della complessità, di quei fattori che agiscono e determinano la compresenza di leggerezza e severità, di debolezza e forza, di familiarità ed estraneità.
Un vero e proprio tour de force che la parola accetta di compiere, avendo in carico di disegnare anche l’assenza della musica sulla pagina. La parola, inoltre, docilmente affronta l’uscita dallo stato alterato, incitante, a cui la musica sottopone il danzatore, riportandolo all’ambiente quotidiano, a un’esperienza che lo deposita in un luogo spesso alienante.
In ultimo, il giro di danza è compiuto almeno quanto il testo poetico e quest’ultimo attesta di ciò che si è prodotto, di ciò che è stato perso e conquistato nel medesimo passo.
Elisabetta Salvador
Uno sguardo, accenni:
balliamo.
Il fermo abbraccio
al mio costato spegne
le parole. Avvolta
fino a sentirti respirare,
nella tua onda ripiego.
La musica, velluto d’alghe,
ci sfiora: stretti,
i corpi esausti.
Ci scostiamo, mi guardi,
te ne vai.
Non ci conosciamo.
Geometrie
Mani
schiuse, palpebre, polsi,
gomiti e ginocchia,
caviglie. Gli angoli, le linee
di questo tango
esplodono in una geometria
sghemba, fragile a tratti.
Pallidi di attesa, piccole
preghiere siamo, nel fiume
della ronda ardenti.
Audace, il rossetto
sbavato
sul labbro, il suo colletto
troppo sgualcito
Sergio Sichenze
Leggerezza
Una coppia
si sceglie: lei
senza freddo
trema.
Ristretti
spazi, calci
imprudenti
avvicinano.
Laceri alla stessa
musica
s'appellano.
Severa
legge, lo sguardo:
opposti
aspri timori
s'annullano.
Finita
immobilità, rimandati
presentimenti: l'umoroso
oroscopo corroso.
Bonaccia
nella minaccia
del caso. Ondata
di calma: salino
trapianto, sostanza
scialba
sommerge.
Straniera
mano: minimo
gesto di leggerezza
infiora.
Attesa
Il movimento
è attesa.
Spogliato
passo: tattile
fede di assenti
veti.
Ramificato
tempo, non la parola,
magia tronca.
Leggera
fiamma, fiotti
di abbracci, incantesimo:
esilio incorrotto!
Miracolo senza
nome: petto
divampa, impronunciabile
conforto.
La tanda
dal subbuglio
discorda. L'occhio
l'invisibile
conosce.
Intorno
il mondo: tedioso
collare.
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