"Ri/tratto di Das Lied von der Erde di G.Mahler" disegno su carta, pastelli e grafite, formato cm38x42, anno 2012, opera esposta a Montefalco al polo museale di S. Francesco, fino al 7 settembre 2018, alla mostra collettiva "Passione e Razionalità" ideata e curata dal poeta artista Pino Bonanno.
Nella serie di “Ri/Tratti” realizzati da Bruno Alller con tecnica mista (acrilici, pastelli, grafite) su tela o su carta, i nomi che compaiono nei titoli sono Catullo, Saffo, Rosselli, Montale, Vivaldi, Brecht, Apollinaire, Villa, Marinetti, Majakovskij, Pignotti, Sanguineti e naturalmente delineano il raggio di influenza con cui l’artista romano ha inteso tracciare il suo orizzonte culturale. E che siano ‘ritratti’ a pieno titolo, intendendo, al di là del naturale gioco di parole, la volontà di realizzare effettivamente una corrispondenza simbolica tra lettere, colori, tratteggi e la persona è dato non solo da uno degli alvei formativi di Aller, quella lezione kandiskieiana che tenta di istituire un legame diretto tra colori ed emozioni, ma soprattutto da un gioco ben più perfido e sottile, sempre in agguato e sempre da utilizzare o da divellere quando sia troppo scontato: l’analogia.
Sulle tavole in cui susseguono raffinate campiture, spesso tenui stesure di pastello sormontate da vellutati tratteggi di grafite, i quali scuriscono ciò che di troppo vivido e luminoso si dispiega dai pigmenti, oppure strati ripetuti di grafite che modulano i passaggi di luce radente sul piano, fingendo, in tal modo, scanalature e rialzi inesistenti, ovuli che si estroflettono o asole che mostrano la tensione delle forze che le forme determinano, o, ancora, scheggiati dalla presenza di lettere a sbalzo, piani che si sollevano aerei, polverizzati dallo scolorirsi dei piani sottostanti, al modo di quei colori trasparenti che dovrebbero appartenere al vetro: ecco solo una parte delle componenti che realizzano il ritratto.
Ci corre allora l’obbligo di ritornare a quella parola che avevamo lasciato galleggiare alla deriva, appena dopo averla messa in circolo nel testo: analogia. Quando osserviamo il “Ri/Tratto di Dante” (acrilici, ossidi, olio, pastelli e grafite su tela, 2008) riconosciamo nel susseguirsi di quinte formate dalle lettere del nome, il piano immanente dell’inferno e quello trascendente del paradiso attraverso la cesellata lavorazione dei pigmenti blu, neri e verdi fino all’aprirsi di un albeggiante chiarore stemperato da proiezioni dorate. Ecco in atto l’analogia, la quale, lì dove non vi è alcuna evidenza che il ritratto realizzato sia di fatto quello che corrisponde univocamente alla personale ricezione dell’apporto culturale di cui il nome è testimonianza, quel Dante a cui Bruno Aller vuole riconoscere un tributo, interviene, appunto, salvando capra e cavoli. E interviene per sospendere la paradossalità dell’assunto, giacché il nome non è la persona e i segni, i pigmenti sul supporto nemmeno. E non lo sarebbero nemmeno se ci fosse una rassomiglianza tra ritratto e volto, in generale.
L’operazione analogica è una componente sulla quale Aller ha basato il suo tentativo di eludere l’azione impossibile, presentando una raffigurazione che travalica la figura. Ha costruito un ritratto inseguendo i valori pittorici relativi all’estrazione: figure geometriche, piani, colori, travalicando i volti analitici di Klee, costruiti con ovali e linee, in cui ancora una figuratività essudata trasaliva sulla tela. A dispetto dell’impianto costruttivo di Aller - piani, diagonali, regole di costruzione ricavate da quelle dell’alfabeto - emerge che la logica che presiede ai suoi Ri/Tratti è di tipo paradossale, ha con la razionalità una somiglianza di famiglia, ma non è certo omogenea ad essa. In questo risiede, a nostro avviso, il cuore straniante dell’intenzione pittorica dell’artista romano.
Se l’analogia è insostituibile perché funziona, il dubbio che l’operazione sia congrua, resta intatto. Tuttavia, tale meccanismo di comparazione serve per ottenere lo spostamento desiderato, la trasformazione agognata. Le opere di Bruno Aller si dispongono come necessarie, seguono uno sviluppo costruttivo ineccepibile, agganciano la percezione con la malia dei trapassi cromatici e con la mobilità dei piani di acciaio di cui si avverte lo scatto: il meccanismo semantico funziona anche se le lettere non formano mai una parola. L’analogia, si sa, come l’arte, è in grado di non abbandonare mai il proprio rapporto con il reale.
Rosa Pierno
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