Datemi retta, quel che vi dico
non potete capirlo di schiena
devo parlarvi nel petto, e allora
nel petto fiorirà la rosa
(Frammento poetico da Dora Pal, la terra di Ida Travi, Moretti&Vitali, 2016)
È questo un verso di una delle ultime poesie di Ida Travi.
Parlare nel petto. Cosa può significare?
Nel petto pulsa il cuore e fluisce il respiro.
Prendiamo in esame quest'ultimo.
Pneuma / Fiato / Soffio / Voce / Vento / Ruah....
In ebraico ruah significa vento o respiro, ma in senso più esteso indica un qualcosa che si muove e che a sua volta ha la forza di mettere in movimento.
Pensiamo al turbine del maestrale che solleva e modula le onde del mare.
Pensiamo al suono e alla conseguente risonanza, all'eco....
Ruah ha anche significati più profondi. Non sta a indicare un mero processo biologico (o fisico). Se la parola è applicata a donne o uomini, esprime la profonda dinamica del comportamento umano, ovvero l'energia e la vitalità interiore di ciascun essere parlante su questa Terra. L'energia e la vitalità più intime che si muovono in noi e muovono altro.
Il ritmo della ruah varia continuamente, cambia di volta in volta, velocizza i processi empatici. è irripetibile (con il fascino estremo di tale aggettivo), proprio come assolutamente irripetibile è ciascun essere vivente.
Il respiro è fatto personale ma, splendidamente, non ne siamo padroni.
Possiamo trattenerlo, forzarlo, modularlo, il respiro, ma per la massima parte della vita nemmeno ci accorgiamo di assorbire ed espellere aria dalla bocca o dal naso.
Il respiro, ruah, c'è (autonomo, originario), e fin che c'è, segna il vivere. Il pensare, il sognare, il dire e l'agire di ciascuno.
Parlare nel petto.
Torniamo al quesito iniziale.
Alla luce di quanto premesso, cercherò di interpretare il devo parlarvi nel petto di Ida Travi.
Per capire e carpire ciò che viene detto bisogna porsi di petto e respirare la voce di chi parla.
Senza padroneggiare ciò che si riceve, lasciando al nostro vento che ascolta il suo automatismo pieno.
Come nel brindisi, secondo l'uso polacco, bisogna guardarsi negli occhi, così nell'ascolto bisogna porsi frontalmente per assorbire ciò che la parola d'altri propone, Accogliere, abbracciare. Con consapevolezza e incoscienza assieme.
Mettendoci tutti noi nella dimensione dell'ascolto frontale, diretto, senza barriere e senza pregiudizio, potremo davvero farci parlare nel petto da un poeta accogliendo la sua parola, il suo vento (ruah) come manifestazione completa del suo corpo e del suo spirito che agiscono in noi.
Nasce così la sinfonia duale della voce.
L'armonia della poesia si fonda sulla dualità. Due voci, ovvero due venti: quello che fluisce vibrando dal poeta e quello dell'ascoltatore, nel suo re-agire in sintonia, nel risuonare in controtempo, mettendo in gioco nervi, sinapsi nascenti, emozione inconsce, fascinazioni da assorbire... in un fiato. Il fiato creatore di chi riceve. Quello che riannodandosi con l'alito del poeta, finisce per originare una creature perfetta: la poesia. Nell'atto sincrono del respirare e dell'inspirare.
È opportuno, a compimento di questo primo atto riflessivo scaturito dalla poesia di Ida Travi, sottolineare un “secondo senso” del frammento poetico posto in apertura. Arriviamo al dunque suddividendo in una dimensione ancora più ridotta il già breve ritaglio:
Datemi retta, quel che vi dico
non potete capirlo di schiena
… Non voltate la spalle al mio dire... sembra dire la poetessa. Accoglimi, non rifiutare. Abbraccia l'invenzione che ancora non conosci, senza paure, sii curioso. Messaggio importante!
PRIMA DIVAGAZIONE
Non ascoltiamo solo con il senso dell'udito o con la mente. Ascoltare è un atto spirituale.
Così la nostra onda prende nuova vita.
Ciò permette di ipotizzare una trasformazione.
Ciò che viene ascoltato torna in gioco nel mondo, dopo l'attraversamento del sé ricevente (ascoltante), come atto spirituale irripetibile. Spontaneo. Penso al testo critico sulla poesia ascoltata, allo studio approfondito sul verso o semplicemente alla discussione tematica, magari quella nata nell'ambito di un dibattito diretto col poeta, fino alla minimale citazione verbale nell'ambito di una conversazione.
Si può parlare a questo punto del frutto di molteplici manipolazioni da parte di umani irripetibili: un miscuglio di milioni e milioni d'atomi di pensiero diversi (non scrivo miliardi poiché, ancora oggi, nel Terzo millennio, la diffusione della poesia, come quella del sapere in altre modulazioni d'interesse, è penosamente carente. Gran parte della popolazione ne è completamente esclusa).
Un tesoro di nessuno e teoricamente per tutti. Una essenza/sapienza spersonalizzata dai propri molteplici artefici umani: aurorale. Di tale essenza, composita eppure originaria, ciascuno di noi tratterrà una parte, grande o piccola, in virtù della singola fame intellettuale.
Sperare di avvertire e cogliere ogni volta, come arricchimento del nostro spirito, questi segnali è impresa oltre plausibile ardimento. Improbabile coglierli tutti. Poi c'è il fattore legato a tutti i secoli che rimarranno all'umanità. Innescati un bel giorno da un verso poetico i nostri segnali si muovono autonomamente, il loro moto è quello della galassia vorticante dei pensieri, destinati a moltiplicarsi e inanellarsi vertiginosamente, e via, fino alla fine dei tempi.
Il fiato di questa galassia è troppo grande per poter entrare nella minuta vescica dei nostri polmoni.
Comincia il grande, gioco, amato intimamente da ciascuno di noi, tra finito, finibile e infinibile.
La poesia non è forse infinibile, almeno sino all'ipotizzabile, ma misteriosa, fine dei tempi?
ALTRA DIVAGAZIONE
Nel pittogramma sumerico che indica il termine poi divenuto in ebraico ruah, appare un occhio “di vento e di forza” (secondo le più attendibili interpretazioni), spento e alato; sotto, in diretta connessione, due o tre segni orizzontali che suggeriscono l'immagine di onde in movimento.
Una precisazione. L'occhio da cui viene ruah, come scritto sopra, è sì alato (quasi fosse angelo), ma è pure spento. Senza pupilla né iride, solo l'orbita e il bulbo. Spento perché spirato. Quando la voce lascia l'attore del dire (divino o umano che sia), ogni sua frase, parola, morfema, fonema, finisce. Ogni nota muore, spira... come vento.
Spirare è parola dal doppio significato. Anzi si potrebbe pensare a due parole distinte derivate da altrettanti, differenti verbi latini: “spīrare” (soffiare, respirare, emanare) ed “expirare” (spirare ovvero spegnersi).
In un istante parole, timbri e suoni, svaniti dalle labbra del poeta, vengono a vivere nell'ascoltatore. Lo fanno fluttuare come foglia al vento.
La poesia è manifestazione dello spirito nel suo migrare da un essere umano all'altro.
Migrazione diretta?
Questa la tesi poetica di Ida Travi che fa nascere nella nostra mente l'immagine di righe bi-direzionali quali vettori del dire e dell'ascoltare, movimento che si incontra, si divide e gioca, nel più ampio sviluppo del moto duale, sino alla moltiplicazione libera degli intrecci. Senso che cambia, timbriche che si alleggeriscono o appesantiscono, significati e significanti che si gonfiano e restringono, sospinti dal fiato della speculazione intellettuale, del sogno, della creatività.
O piuttosto, la migrazione dei pensieri procede con andamento a vortice?
A spirale?
La bellezza della poesia è vertiginosa.
Si può ipotizzare che si manifesti tramite la circolarità della voce. Voce che ha effetto avvolgente, che scardina il tempo e lo spazio.
L'ascoltatore si viene a trovare in un vortice. In una galassia (come già sopra scrivevo).
Pianeti e stelle circolano in un spirale, in una ellisse galattica la cui particolarità è quella di manifestarsi, sostanzialmente o solo apparentemente, come figura a due dimensioni. Larghezza e lunghezza, i due raggi ineguali del vortice stesso.
Nel cuore della galassia è possibile dimenticarsi del tempo.
Fatti evocati, immagini ricreate, giochi di senso, allusioni, spartiti emozionali, ricordi e premonizioni circolano velocemente. Il vagare di questi molteplici elementi si può facilmente cogliere. Basta girare la testa facendo scorrere lo sguardo e l'ascolto su di un solo, unico piano che si muove circolarmente ed evolve, attorno a noi e con noi (che, poeti o ascoltatori, ci poniamo istintivamente nel fuoco del vortice). Proprio come se assistessimo alla proiezione di un film dove la storia di ieri è lì, a fianco di quella di domani, dove ogni impulso di mescola immediatamente ad altri e altri ancora, sviluppandosi in idee sempre differenti (nuove, originarie) che si allargano a raggiera attorno a noi.
In questo vorticare, se ci si propone un ricordo, ecco che lo (ri)viviamo. Se a noi viene una premonizione ne conosciamo immediatamente il più intimo senso, e persino le conseguenze. Tutto ciò che il poeta dice, in virtù della circolarità della sua voce, tratteggia una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio. Una (dis)misura dove il concetto di distanza viene ad annullarsi. Un'area elicoidale fantasma che favorisce straniamento e concentrazione assieme. Nel soggetto attore della migrazione vorticante dei pensieri (ascoltatore) sgorga il desiderio di articolare e connettere gli stimoli della parola poetica affidandoci alla logica del fulmine, mentre, di fatto, si concretizza solo l'atto di dare la stura (e non è poco) a speculazioni successive, avviandone il percorso. Con attenzione e studio, sviluppati e articolati, attraverso meditazione, condivisione o riformulazione, il frutto dei pensieri originati dall'ascolto di una poesia, potrà arrivare a segnare la nostra vita.
Un vento spira. Si muove attorno e dentro l'ascoltatore, questi vibra di rimando, sollecitando a sua volta altro e altri.
Forgiando e permeando la propria galassia, la poesia non si ferma né si riflette in se stessa nonostante la circolarità vorticosa del movimento perenne di questa grande forma astrale, anzi, ogni volta, ogni secondo, ciascuna poesia può presentarsi diversa essa stessa a nuovi ascoltatori.
La poesia penetra in chi ascolta, tocca la sfera emotiva, altera ed espande la memoria, scardinando il vincolo calendariale che ce la fa immaginare come un ordinato archivio. La verità e l'illusione convivono sul medesimo piano. Fantasia e realtà si lasciano vicendevolmente contaminare.
Forse la migrazione simpatica della voce poetica si sviluppa a spirale.
Simpatia, dal greco συμπάϑεια è parola composta da σύν, con, e πάϑος, che nella retorica classica è termine applicato ai generi letterari per indicare l’insieme di passionalità, concitazione, grandezza proprio della tragedia, elemento contrapposto all’ethos, carattere più tenue, proprio della commedia.
Forse è proprio la forza simpatica che anima la migrazione della voce poetica, che le imprime energia, implementando il circuitare della parola. Quella passionale, concitata (o meglio sintetica), grande, grandissima della tragedia e parimenti della poesia che sa modulare anche in altre timbriche la sua poliedrica forza. Sottile, tagliente, fantasiosa, irrealistica, profonda, smisurata, secca, pungente: una forza centrifuga (impadroneggiabile) che assume la forma delle galassie. E la forma delle galassie muta, pur mantenendo il proprio marchio distintivo. Cambia pure la loro sostanza e l'essenza, perché continuamente, ai margini del grande vortice, ci sono stelle in formazione.
ULTIMA DIVAGAZIONE
O forse si tratta di approfondimento trasversale?
La spirale è forma primordiale che allude alla morfologia visuale (o forma apparente) di gran parte delle galassie: ellittica e discoidale.
Per avvicinarsi alla forma primordiale di una galassia necessitano strumenti adatti. Scrisse Galileo Galilei, “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara ad intender la lingua, e conoscere i caratteri, ne’quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi veramente per un oscuro labirinto” (Vedi Il Saggiatore, nel quale con bilancia squisita e giusta si ponderano le cose contenute nella Libra, trattato scritto da Galileo Galilei, a cura dell'Accademia dei Lincei, il libro fu stampato nel maggio del 1623 a Roma).
Il primo strumento utile è ritenuto la successione di Fibonacci, introdotta per la prima volta da Leonardo da Pisa (meglio noto come filius Bonacci, ovvero Fibonacci), Pisa, settembre 1175 circa-1235 circa, come soluzione alla modellizzazione matematica della crescita di una popolazione di conigli in un tot di mesi: una successione ricorsiva lineare e omogenea. Per evitare lungaggini di scrittura, si fa qui necessario rimando al personale approfondimento del lettore sul tema.
Il secondo strumento essenziale è la cosiddetta spirale logaritmica (torna la spirale). Quest’ultima è una figura geometrica ottenuta, come scoprì per la prima volta Cartesio, considerando la traiettoria di un punto che si muove di moto uniformemente accelerato su una semiretta, la quale ruota uniformemente intorno alla sua origine. Anche in questo caso si evita la prolissità di cenni agli ulteriori aspetti del tema.
Padroneggiati tali strumenti ci si può finalmente porre la domanda: “C’è qualcosa che accomuna la mirabile disposizione dei petali di una rosa, l’armoniosa spirale di alcune conchiglie, l’allevamento di conigli e la successione di Fibonacci?”.
La risposta di un autorevole studioso della materia, Mario Livio (La sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni, di Mario Livio, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli. 2012), è affermativa: “Dietro queste realtà così disparate si nasconde sempre lo stesso numero irrazionale comunemente indicato con la lettera greca φ.. Una proporzione scoperta dai pitagorici e calcolata da Euclide, chiamata da un trattato di Luca Pacioli divina proporzione e in seguito sezione aurea”.
Il numero φ, numero aureo, è definito come il rapporto fra due grandezze disuguali la cui somma è media proporzionale tra la minore e la loro somma. Tale rapporto vale approssimativamente 1,618 ma può essere espresso in maniera esatta con un'apposita formula.
Ora, una spirale logaritmica in cui il rapporto costante tra i raggi consecutivi è pari a φ si dice aurea; il rapporto fra un numero della successione di Fibonacci e il suo precedente è, al limite, (per n che tende a infinito) pari a φ.
“Il rapporto aureo è quindi l’anello di congiunzione tra la natura e la matematica, il punto di incontro tra la suprema armonia del cosmo e il modello che lo rappresenta”, precisa Mario Livio che aggiunge: “La natura ama le spirali logaritmiche: dai girasoli alle conchiglie, dai vortici agli uragani alle immense spirali galattiche, sembra che la natura abbia scelto quest’armoniosa figura come proprio ornamento favorito”.
Anche la poesia ama le spirali logaritmiche, dunque? (non certo quale ornamento!)
Grazie a Ida Travi per avermi affascinato con il suo pensiero. Grazie per aver stimolato in me tante idee e persino un'ipotesi diversa (il modello della spirale al posto di quello della linea di-retta), ma parallela al senso della sua speculazione poetica.
Stefano Iori
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