Coltivare il foglio vuol dire dapprima individuare una superficie e poi sfondarla. Muovere all'attacco di lacune, campire aree strappandole al vuoto, come se lo spazio potesse essere esaurito, fatto proprio.
Agendo su vari livelli, quello dell'inizio, al modo in cui si comincia una storia, del dislocamento dei segni sulla superficie, della loro prolificazione, con la necessaria definizione del sopra e del sotto, e la conseguente definizione del proscenio e del sipario, si osserva una evidente sempre maggiore consanguineità dei segni.
Flebili e delicati nel cominciamento, vanno tracciando scenari immaginari; s'infittiscono fino ad acquisire uno spessore ferreo, nodoso, nella figura in primo piano.
Tuttavia, a volte, è lo sfondo a reclamare il primo piano, sebbene per riquadrare la teatrale scena, per darle una parvenza di unità. Altre, una forma nera galleggia su un fondale istoriato.
Il colore si espande con regole proprie, accampando un'autonomia che sovrasta tacche e punti, li afferra coartandoli, impone loro il ritmo pur nella dismisura del segno.
Il pigmento ha una sua traiettoria, contorna oppure stigmatizza con lievi tocchi e gocce, piccole accensioni, e morbide, nella tramatura fitta. È quasi la scrittura di larve figurali, colte nello stadio antecedente a quello in cui si osserva la figura intera.
Scalfitture e tratteggi e strie di colore equivalgono alla lettere di un alfabeto, a partire dal quale si forma l'illeggibile identità del tracciante.
Il gesto è quasi l'eco di una tradizione. Esprime l'incoercibile esigenza di marcare e colorare qualcosa che alla fine si palesa come comune storia.
Nei delicati fogli, ove il segno cortesemente assona col colore, pigmento liquido, stilla e brilla. E quando i tratti appaiono corrosi dalla luce, colore s'intensifica per sostenere la veemenza del solcato campo.
Colore campisce tutto il disegno come una conquista definitiva. Sotto, in trasparenza, si vedono nuotare virgole, code, strie. L'inchiostro e i pigmenti nuotano nel medesimo piano liquido.
Rosa Pierno
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