domenica 5 gennaio 2014

Flavio Ermini su “Artificio” di Rosa Pierno, Robin, 2013

Le Abitazioni della Poesia – Sensibile e sovrasensibile



Da tempo, la chiusura alla verità dell’essere appare ferrea. La divisione dell’essere in sensibile e sovrasensibile si configura ormai come cosa compiuta. Oggi, la strada della tecnica appare spianata. La via verso la verità sembra ogni giorno più impraticabile. La via della conoscenza al contrario sembra che sia diventata la strada maestra. A tale proposito, le questioni che Rosa Pierno pone con Artificio sono: è possibile tornare a esporsi all’essere? È possibile prendere posizione per l’essere, prima di volgersi a qualsiasi altra destinazione?
Artificio si affida alla parola poetica affinché sensibile e sovrasensibile – ovvero terra e cielo – si ricompongano senza distinzioni. Accadrà? Non è dato saperlo. Rosa Pierno con Artificio si assume l’arduo compito di tracciare «il diagramma dei loro incontri, avvicinamenti, disguidi, mancate coincidenze, fughe, ritorni, incomprensioni, addii definitivi e sovrapposizioni…».
Il testo va seguito nel suo movimento atto a ricostruire questa «cartografia d’amore». Sì, perché non di altro si tratta: si tratta di ridare vita al perduto “dire” – il dire originario – attraverso un mosaico di parole che di quel dire oggi è solo l’ombra. E se il fine è il matrimonio, il matrimonio non può che essere «d’amore», così come il linguaggio non può essere che un linguaggio «d’amore».
Artificio è un poema fatto in modo tale che la natura stessa – il tutto – diventi per la poesia un destino. Artificio vuole rappresentare il mistero del dicente votato all’essere; un dicente posto davanti alla frantumazione, quando è invece alla totalità che aspira. Si tratta di tornare alla «materia indivisa», che «mai scompare del tutto», che sempre è presente anche nella più radicale frammentazione.
Artificio suggerisce la prossimità del sacro, del sacro inteso come “separato”, segreto e saturo di vita. Alla vita converrà allora un dire amoroso per ricongiungersi a «ciò che pareva sopito»: al fondamento originario, primordiale, sorgivo dell’essere, la verità viva del suo manifestarsi come del suo celarsi.

 Flavio Ermini,  sul numero 36 della rivista Equipéco, giugno 2013


Rosa Pierno
Artificio



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Trapuntato è il cielo di cento e mille astri tale che costellato è il prato che lo riflette; porporeggia un tramonto quasi estinto, esangue lungo gli estremi lembi, ove materie estranee si ricongiungono in agognata quiete. Sereggia, ormai, su questa terra e in cielo.

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Lo stato del non amore differisce da quello in cui amore regna per totale mancanza di colore. La realtà non ha luce né suono, né gusto né alterazione, non arpiona l’animo, né lo trascina; non  ci sono picchi da registrare o epiche imprese da compiere o viale fiorito da percorrere e nemmeno pietraia da superare. Stato del non amore è vuoto teatro, polveroso palco.

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All’origine, la materia indivisa già possedeva moto, preludio di ben altri sommovimenti e tragedie: la terra che si divide dalla terra, mari che s’allagano e vento che vi scatena drammatiche erosioni. Di origine, senza andare tanto lontano, si parla anche in meno remote storie. Chi si unisce e poi disparisce, forse mai scompare del tutto, sempre ciclicamente ritorna.

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Nessuna parola finita potrà definire assoluto amore e, dunque, mille e mille volte sarà necessario ripetere che t’amo.


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