martedì 31 dicembre 2013

“Conchiglie e bicchieri” da “Buio e Blu” di Rosa Pierno, Anterem edizioni, 1993


La conchiglia giace come un fiore aperto, marcescente sulla riva. Un vetro sottile, dal collo lungo, s’impossessa della parte alta del disegno.
Aperta, e nera sui bordi, con alcune chiazze che indicano l’approssimarsi dello stato di putrefazione, nemmeno si gira più nel letto.

Pettini enormi accanto a una conchiglia bivalve.
Il suo corpo gravato da pressioni atmosferiche, da cieli senza colore, ridotto allo spessore d’una lamina, era lì da sempre.

Picchi e vette, cime e punte;  tutti gli oggetti s’ergono, mentre l’altra metà è affondata nella rena.
I capezzoli puntuti,  su dune turgide, fra le onde ricorrenti dei capelli.

Alcune conchiglie sono dotate di ombra. Il mollusco vi si rintana come in uno spazio interiore.
Non ha che mani e braccia e gambe per stringersi. Rimane nuda, preda della luce.

Sono due le linee che separano  i vari livelli della rappresentazione. Sotto la prima, la rena; fra la prima e la seconda, il mare; sopra la seconda, il cielo.
Linee di demarcazione segnano alcune zone del suo corpo. Sotto  la prima, il sesso; fra la prima e la seconda, il cuore; sopra la seconda, il cervello.

Su un vassoio di pietra sono stati disposti rudimentali attrezzi da taglio: cocci di vetro, schegge di conchiglia.
Opera nello spazio cesure mentali. Dice: “Qui c’è qualcosa di diverso con cui non voglio venire in contatto”. Nella restante zona s’immerge.

Conchiglie e bonsai. In questa fase viene evitata la presenza dei pettini.
Nello specchio è vicina e lontana. Piccola e grande. Sempre con lo stesso corpo.

Accanto a un bicchiere pieno d’acqua si sperimenta una composizione realizzata con una piantina grassa e una palla bicolore.
Le mancherà soltanto ciò che più desidera.

E’ sufficiente aggiungere una linea che definisca l’orizzonte per ottenere una metamorfosi dello spazio. Tutti gli oggetti appaiono così poggiati su un piano esterno al quadro.
Rimane sempre estranea a se stessa, se non nell’atto della congiunzione con un altro essere.

Sul proscenio, una conchiglia giace con alghe ancora intrise d’acqua.
Il corpo quasi si solleva dal letto, non vi aderisce per quella particolare qualità che è la giovinezza.

Allargando la schiera degli oggetti sul piano principale, si cela la profondità dello spazio che li accoglie.
Sembra che sia tutta riducibile a quell’unico punto, in basso, fra le gambe.

Conchiglie si srotolano in linee che disegnano nell’aria voli di bandiera. Quando cadono a terra, lasciano solo una piccola impronta sulla sabbia.
Calpestata, gettata lontano e ripresa. Non è altro.

Nascondendo parte del vaso  con un bicchiere e parte del bicchiere con una conchiglia, si può giungere a pensare che l’orizzonte sia un punto, intersezione di due linee formanti  un angolo.
Tutto il suo corpo punta in quell’unica direzione.    

Con l’accostamento di oggetti  disparati si perviene a un assemblaggio coagulato esclusivamente dal luogo che li ospita.
Le membra slegate fra loro, giunte solo nell’atto della copula.

Un campanile posto dinanzi a una bottiglia, ma così piccolo da far pensare a una bottiglia gigantesca.
Apparentemente non si tratta che di avvicinare o di allontanare l’oggetto dei propri desideri.

Valve pulsano grazie a un colore, mentre lo spazio si restringe.
Impallidisce, riduce i movimenti, rallenta il respiro. Attenderà così il suo prossimo arrivo.

Tutti gli oggetti subiscono una deformazione. Lo spazio che li vede raccolti si allarga e si contrae.
Movimenti alterni intorno a un unico centro.

La conchiglia intatta ha  macchie nere, che si ripetono su tutto il guscio.
Dovunque si annidi, ovunque si celi alla luce, si vede sempre addosso quel chiarore implorante.

Dopo la positura degli oggetti nella piccola scenografia, la clessidra non viene più capovolta.
Le sue giornate non scorrono finché non entra in quel luogo.

La scena, a volte, viene volutamente lasciata priva di presenze.
Attività complesse e contraddittorie vengono messe in opera.

Persino cipressi sono posti a recintare l’ombra dei bicchieri, in cui, a intervalli regolari, foglie cadono.
Batte sulla sua pelle come su un tamburo una frase di diniego.

Non c’è inizio né fine nel mettere e togliere dal palcoscenico.
E’ un rapporto iniziato in un albergo. Deve necessariamente finire lì.

Molluschi, carnosi, varianti continuamente la propria forma, giacciono contro un fondale immodificabile.
Sarà così che andrà avanti la storia.

Si possono aggiungere persino cavatappi e soldatini di piombo in questa zona del racconto.
Potrebbe far entrare dalla porta un elemento nuovo che muterebbe la loro posizione.

Lo spazio che si crea come un vuoto cilindrico intorno a una bottiglia con bicchiere può essere ulteriormente trasformato con l’inserimento di una pianta fiorita. 
Lei esiste soltanto intorno a un irraggiungibile pensiero.

La palla che giace accanto alla conchiglia si va aprendo come un corollario. I grani di sabbia sono grossi come ghiandole e rendono umido il foglio. Sulla palla e sulla conchiglia pesa, come un’asserzione conclusiva, una forma frastagliata, a picco sul mare. Polena o pettine?

Si giungerà al finale della storia quando la donna verrà disegnata in riva al mare.

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