giovedì 15 novembre 2012

Lorenzo Gattoni “Alla confluenza dell’attesa” Edizioni L’Arca Felice, 2011


Se si ipotizza che il nostro orizzonte esistenziale si svolga tra tempo dell’abbandono e tempo dell’attesa e, quindi, tra passato e futuro, il presente, inevitabilmente si condensa come un precipitato dei due stati di vuoto, in cui vanno a confluire fantasmi, ricordi, assenze, assieme a desideri, ansie, proiezioni producendo un assordamento capace di non farci percepire l’elemento essenziale in cui saremmo, appunto,  immersi:  la perdita, la disillusione. E’ per questo che il poeta costruisce spazi di silenzio, radure su cui incombono al massimo flebili ramificate ombre.  Lorenzo Gattoni, nella plaquette Alla confluenza dell’attesa, Edizioni L’Arca Felice, 2011 (con dipinti di Luca Bonfanti), tenta di indebolire le voci interiori, le visioni mentali, di fare emergere le cose presenti sgravandole dall’impasto della propria soggettività. Il vuoto allora non si configura come scena disadorna, ma  ricolma di oggetti dagli spigoli taglienti, dai colori vivissimi, dai profili nitidi. Il che allora determina che non si è in presenza di un tentativo di annullare il soggetto che tale immagine costruisce, ma di non imporre alle cose una non controllata proiezione.

Come una pesca miracolosa,   il risultato dell’azione poetica comporterà oggetti mai visti prima, una immaginazione che liberatasi dall’impeto abitudinario valuterà in modo invero sorprendente lo spazio in cui si è immersi: il tempo “è un’unghia sulla lavagna”, “l’orizzonte è un buco / dove al fondo volteggia / un angelo ubriaco”.   Il ribaltamento dei piani, la riflessione nello specchio non sarà senza conseguenze: all’attesa verrà conferito “ il nome di perdita”, il che testimonia che il regista non rinuncia a nessuno dei suoi strumenti per imporre alla realtà le proprie visioni.  Né Gattoni si perde nel labirinto inscenato fra senso all’origine e sovrapposizioni di senso, i quali inevitabilmente si ammassano durante lo scorrere del tempo storico. Troppo accorto per non sapere che l’origine è la tartaruga su cui il mondo poggia, egli osserva, ma non partecipa alla processione delle maschere. Non crediamo che per questo si possa parlare di sconfitta, ma di salda posizione etica, che non si concede illusioni, che vuole conoscere i meccanismi attraverso i quali costruiamo i nostri sistemi di speranze e attese e di consapevolezza degli smacchi. Per questo il silenzio non è una riduzione al nulla, ma una conquista. Anche se da essa non sarà possibile strappare, come pelle da una pesca, la perdita.


la parola iniziale
ha infranto il mutismo
delle cose
                da allora
la replica  scortica
quel che di nome
era verità

complici dell’inganno
osserviamo le maschere
in processione mentre
una parte di cielo continua

Lorenzo Gattoni (1960) è redattore delle riviste Il Monte Analogo  e La mosca di Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesie Il vetro e la cera, Tracce (1998); La frattura del sorriso, Ex-Cogita, 2011; Scatti di posa, Joker, (2008); e le plaquettes Scatti di posa – cinque poesie, Dialogolibri (2002); La polvere e il diluvio, Fiori di Torchio(2010).

La pregevole collana “Coincidenze”, diretta da Mario Fresa viene proposta in esemplari numerati a mano, con litografia.

3 commenti:

ultimo scarto ha detto...

Grazie per la ripresa di questa plaquette importante. Ne avevo parlato anche io con parole più o meno simili, anzi molto più confuse, in questo blog ormai fermo: http://langosciadellinfluenza.wordpress.com/2011/07/05/poeti-dellattesa-2-lorenzo-gattoni-alla-confluenza-dellattesa-edizioni-arca-felice-2011/
Lorenzo Mari

Rosa Pierno ha detto...

Lorenzo, mille grazie per l'attenzione! Ho visto ora il suo blog ed è un vero peccato che sia "fermo". Spero, solo temporaneamente.
Con i migliori saluti
Rosa Pierno

ultimo scarto ha detto...

Ringrazio per l'apprezzamento, ma l'esperienza del mio blog personale è praticamente conclusa: mi sono unito ad altre esperienze collettive, e continuo comunque a lavorare sulla poesia che secondo me è importante. Cordialmente,
Lorenzo