Che l’amore non sia indenne da odio e persino da indifferenza è cosa nota, e Capri, essendo amata da Raffaele La Capria, non subisce trattamento diverso. Potremmo definire il libro dell’autore napoletano, “Capri e non più Capri”, Pagine d’Arte, 2011, un libro d’amore in cui non si sappia discernere la propria vita da quella dell’oggetto amato, né accettare la sua diversità. I ricordi, poi, non sono districabili dal vissuto, anzi quanto più intensamente essi sono vissuti, tanto più ciò che è stato è ancora presente e, dunque, risulta impossibile recidere il controverso legame.
Così, la “Capri” e la ”Non più Capri” coesistono e la questione della prevalenza dell’una o dell’altra si pone come indecidibile. Capri è sia quella magistralmente descritta da un La Capria giovane - e vi prego di leggere il tour de force con il quale così sapientemente ci restituisce le riflettanze dei fondali marini che s’intessono con le trasparenze della superficie acquorea - sia quella deturpata dall’ignoranza e dalla barbarie contemporanea con i flussi turistici di massa che inevitabilmente ne depauperano il patrimonio naturalistico.
La Capria si spende affinché venga presa in considerazione la qualifica di riserva naturale per quello che si configura come un patrimonio dell’umanità, anche se non sfugge che lui ha un ruolo privilegiato, vi ha posseduto una casa e considera l’isola un suo possedimento, anche se, ora, solo interiore. L’indifferenza di cui a tratti egli si ammanta di fronte alle beltà naturali di Capri è quella stessa dell’uomo che si prepara a lasciarla, a lasciare la vita per raggiunti limiti d’età, e che trova proprio nella bellezza dell’isola, in qualche modo eterna situandosi al di là degli accadimenti umani, il motivo che gli consente di separarsene. Il testo si dispiega su più livelli ed è anche una sorta di libro contrario al genere del romanzo di formazione, diremmo, poiché riguarda la senilità.
La bellezza è uno dei cardini della riflessione di La Capria: simbolo dell’ideale di eternità, a sua volta intrinsecamente connesso all’eternità degli elementi naturali, consente il distacco: in fondo Capri c’è stata prima di lui e ci sarà dopo di lui. Egli già conosce come saranno i pomeriggi e i crepuscoli che si avvicenderanno dopo la sua dipartita, persino noiosi e vuoti, e sull’onda di questa certezza può saturarsi dell’amata fino a non più desiderarla.
“Capri e non più Capri” è il libro di un uomo appassionato e viziato, esteta e intellettuale, sazio e insoddisfatto, depresso e pieno di vita – se mai questi potessero essere ossimori – il quale ci consegna un autoritratto intenso e complesso, in cui la prosa risente dei vari stati d’animo, trascinante o un po’ distaccata, sempre ricchissima di citazioni e riferimenti, di rimembranze e di confronti, di rapidissime comparazioni e di prolungate descrizioni. Il pensiero in La Capria ha un moto spontaneo, umorale, perennemente zampillante, che evade la linearità della riflessione per saggiare gli scarti che l’analogia consente arricchendo percezione e riflessione insieme.
Così ora per noi Capri è sempre Capri, anche grazie a Raffaele La Capria, o forse contro.
Rosa Pierno
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