Il dibattito televisivo a cui partecipano nel 1971 in Olanda Noam Chomsky e Michel Foucault, e che è riportato in “Della natura umana. Invariante biologico e potere politico” Derive Approdi, 2005, verte sul problema inerente alla natura umana rappresentato attraverso le posizioni opposte dei due dialoganti. Da una parte Chomsky, convinto assertore di idee e capacità innate, il quale nega qualsiasi evoluzione storica delle idee e delle capacità e, dall’altra, Foucault, il quale afferma che la natura umana è invece presa nelle trame della storia. Questo libro fornisce l’occasione per approfondire la questione non solo attraverso le posizioni antitetiche dei protagonisti del dibattito, ma anche attraverso gli interventi di Diego Marconi, Stefano Catucci, Paolo Virno, i quali rappresentano le seguenti posizioni: Marconi è a favore dell’innatismo difeso da Chomsky, Catucci della storicità e quindi della posizione foucaultiana, mentre Virno tenta una mediazione valutando che nessuna delle due posizioni è completa, ma che entrambe vadano integrate l’una con l’altra.
Per quel che riguarda Marconi, il quale si rifà agli studi della scienza cognitiva, è facile obiettare che l’innatismo di cui parla è relativo alle sole capacità umane e non ai contenuti del pensiero, alla capacità cioè che tutti abbiamo di distinguere i colori o di essere creativi nell’uso del linguaggio, e non certo relativo all’individuazione di principi innati o a un sentire etico comune, il quale resta un prodotto culturale, che è diverso, anche in intensità, in relazione alla comunità d’appartenenza. Cade di conseguenza la trasposizione automatica degli innatismi al campo dei principi condivisibili da tutti (desiderio di una società più giusta ed equa come fosse un’idea che ciascuno essere umano condivida), poiché, appunto, essi non sono riconducibili a innatismi. Né d’altronde è esattala sua interpretazione che riduce la posizione di Foucault al rifiuto totale dell’innatismo, poiché quest’ultimo non rigetta quelli che sono i risultati scientifici relativi alla definizione di capacità mentali, ma di fatto rigetta la trasposizione degli innatismi nel campo delle idee e dei principi. Tant’è che l’opposizione di Foucault nel dialogo con Chomsky è del tutto contestuale all’uso allargato e improprio che Chomsky fa dell’innatismo, oltre che naturalmente all’idea di una “natura umana” come prodotto immutabile e astorico.
Se Foucault ha condotto una battaglia contro l’innatismo lo ha fatto, in ogni caso, in ragione di una verifica sul campo esperienziale. Nelle scienze umane non si ritrova l’essenza dell’uomo, ma piuttosto la costituzione di una nuova soggettività attraverso la riduzione dell’uomo a oggetto di conoscenza (che coincide con la critica che Foucault effettua nei riguardi dell’antropologia) e la continua costruzione di sé da parte degli uomini in una serie di innumerevoli soggettività differenti che mostrano l’infondatezza di ogni discorso su una presunta natura umana. Il che è un obiettivo diverso dal negare che tutti gli uomini vedono i medesimi colori o che non possono volare. A tal proposito riporto una sua frase chiarificatrice da “Antologia. L’impazienza della verità”, Feltrinelli, sul fatto che egli rifiuta “una certa teoria a priori del soggetto per poter fare l’analisi dei rapporti che intercorrono tra la costituzione del soggetto o le differenti forme di soggetto e i giochi di verità, le pratiche di potere, ecc.” poiché il soggetto non si costituisce a priori né è preesistente alle pratiche attraverso cui si riconosce, né esiste un suo fondo umano che debba essere riportato alla luce e liberato da alcuni processi storici, economici o culturali che l’abbiano alienato.
Rosa Pierno
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