Maria Zambrano nel suo brevissimo testo “Frammenti sull’amore” Mimesis, 2011, incentrando il suo discorso sulla divinità umana, contro un umanesimo che ha inteso collocare al centro del mondo l’uomo anziché Dio, trae da questa posizione alcune delle massime più drammatiche che sia possibile pronunciare sull’amore. E’ necessario, per meglio comprendere, riportare il contesto in cui queste frasi sono incastonate. La critica all’umanesimo è effettuata come critica alla volontà umana che ha voluto porsi esclusivamente come realtà organica, “come schietta realtà psicologica-biologica; il suo rafforzamento in cosa, una cosa che ha bisogni determinati, “giustificati e giustificabili”. Che ha voluto rifiutare “l’eredità divina credendo in questo modo di liberarsi della sofferenza e della passione che tutte le cose divine comportano tra noi e in noi” e nel fare questo ha segnato negativamente anche l’idealismo che “vuole penetrare dentro l’essenza divina della creazione, togliendola alla storia”. Ma la storia è rivelazione, accettare la storia vuol dire accettare il mistero ultimo. L’uomo invece vuole “credere che la realtà, vita umana compresa, sia composta di fatti sottomessi a cause che chiamiamo ragioni”, mentre il divino è cosa incalcolabile. Questa volontà umana di ridurre ogni cosa riguarda anche l’amore: anche esso ”tradotto in fatto, decaduto in avvenimento e sottomesso a giudizio, cioè, svuotato nella sua essenza che tutto trascende, diseredato della sua forza e della sua virtù”.
A nulla vale la passione, se essa viene ricondotta a “episodio della necessità e della giustizia”. “Passione ridotta a fatto, a mero accadere”, svuotata della sua essenza e della sua forza, privata del suo potere di trascendere, invece “L’amore trascende sempre, è l’agente di ogni trascendenza”, apre al futuro, a quell’apertura senza limiti, che ci obbliga a trascendere ogni realtà in quanto insufficiente. “L’amore è un enorme agente di distruzione” perché scopre” l’inanità del suo oggetto” e apre un vuoto, un “niente terrificante nella percezione” facendoci scoprire quel nulla in cui il Dio creativo creò per amore, e facendoci proprio attraverso l’amore, aspirare a ciò che c’è oltre. E’ un amore che distrugge e perciò dà nascita alla coscienza. “La coscienza s’ingrandisce dietro una delusione d’amore, come l’anima stessa si era dilatata col suo inganno” rivelando all’anima i suoi limiti. L’amore, perciò stesso, non è mai inganno, non è mai illusione “poiché quello che si è amato, quello che si amava in realtà, quando si amava, è verità”. E’ l’amore che prepara il terreno a quell’offerta di sé che è l’atto principe, che ci prepara al sacrificio, che ci insegna a morire: “E’ un vero apprendistato per la morte”, quel vivere fuori di sé, stare oltre se stesso, il quale consente di trascendere vita e morte.
Parole in qualche modo terribili che ci riportano alla mente il testo di Marguerite Duras “Distruggere, ella disse” di cui si è occupato Maurice Blanchot in “L’amicizia”: ma per dirne cose che possono riferirsi a quel versante della filosofia che si occupa di secolarizzare la differenza (nelle due direttrici sviluppate da Heidegger per l’essere e da Blanchot per la letteratura): “se è necessario amare per distruggere, bisogna anche, prima di distruggere, essere affrancati da tutto, da se stessi, dalle possibilità della vita e anche dalle cose morte e mortali, attraverso la morte stessa. Morire, amare: solo allora potremo avvicinarci alla distruzione capitale, quella che ci riserva la verità estranea (tanto neutra quanto desiderabile, tanto violenta quanto lontana da tutte le potenze aggressive)”. Così “la verità della parola estranea” quella che distrugge e si distrugge ciascuno di noi dovrà portarla con sé, affinché essa, parola all’infinito e senza soggetto, non lasci alla nostra conoscenza nulla che possa essere recuperato. Ed ecco allora che coloro che potrebbero distruggere con un puro movimento d’amore donerebbero l’immensità vuota. Il desiderio neutro.
Innestando la parola “distruggere”, dunque, in un tessuto diverso, ne vediamo virare il senso, eppure, non lo vediamo tradito del tutto. Per cui resta attribuita all’esperienza dell’amore la capacità di far abituare alla morte, di far uscire da se stessi per incontrare l’altro e di far conoscere nella passione la presenza del niente che tale passione minaccia.
Rosa Pierno
2 commenti:
avevo visto dell'uscita di questo piccolo libro della zambrano. grazie per averne detto/scritto.
e piacere,
giampaolo dp
Grazie mille a te per avere letto!
Rosa
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