lunedì 9 maggio 2011

Due poesie inedite di Stefano Guglielmin

La prepotenza della natura sgorga come un fiotto ogni volta imprevedibile e ci sorprende con la sua virulenza: qualsiasi nostra costruzione, letteralmente ordinatrice, sistemica, che tenda a dare una parvenza di prevedibilità si schianta contro tale forza, eppure a noi non estranea: quella crudeltà  dell’animale  che divora la prole, la bocca che partorisce l’individuo, senza distinzione morale. Noi siamo natura, e il nostro pensiero, apparentemente così etereo e astratto, immateriale e incorporeo reca in sé l’orma, il marchio di ciò a cui si riferisce: quel peso sfruttato dall’ala, il soffio/respiro che accomuna “notte e cagna o giorno e angelo”. In ogni caso in questa espertissima tessitura che presenta diverse grammature e densità, apparenze sono scambiate al mercato nero con certezze. Lì dove natura  segna le fasi e i giorni, le fasi stagionali coi frutti, e colloquia con la geometria (“cerchio”, “quattro angoli”) inscenando nei luoghi (“pietra”, “platea”, “tende”)  atti che somigliano a riti, è la lingua che s’incarica di  tessere elementi eterogenei, di tenerli insieme. Non si sostituisce alla realtà, vi si adegua con fatica e aspettative, e certamente contribuisce ad accelerarne il processo di trasformazione. La poesia, in Stefano Guglielmin,  assume un alchemico potere.



Perfetta figura


Dici quercia e bacio, aspetti
un cielo digiuno che spiova.

Sdraiata la lingua sulla pietra
scivoli aperta nell'animale
che dorme: pare il cerchio
una figura d'amore, perfetta
se non divora la prole.




Nel frattempo, al bivio




Come l'ala sfrutta il peso, chiedi un gesto
che porti in tavola o a dormire. Viene il mese giusto
intanto, con la sua muta affacciata ai frutti
in strada, che fanno aprile, nozze e ogni altro
a capo, per un soffio vivo e languido insieme
come se notte e cagna o giorno e angelo
sgorgassero qui, al bivio
con la platea da fare e la scrofa
che tiene il mondo in moto, che dispera
ai quattro angoli della lingua. E non c'è altro
infatti: autobomba, ladro, lavoro, amante
scarico dell'iva, tutto, dalla bocca
scuote le tende e nasce.



Stefano Guglielmin è nato a Schio (VI) nel 1961. Laureato nel 1986 in Filosofia, insegna lettere nel locale liceo artistico. Coordina un laboratorio per l´educazione permanente alla poesia, mentre a Schio fa parte del gruppo "Poesia/Poesie" che organizza, in città, incontri con autori contemporanei. Collabora con le riviste di letteratura e filosofia "La Mosca " di Milano e "La Clessidra", e con l´associazione "Convergenze", che promuove ricerca ed eventi formativi in psicologia, ed è nel consiglio editoriale di "Opera Prima", collana di poesia curata da F. Ermini. Fa parte, inoltre, della redazione di LiberInVersi (http://liberinversi.splinder.com/) e ha curato per un anno, dal settembre 2006, la rubrica di "Poesia & Blog"; sulla rivista in rete Tellusfolio( http://www.tellusfolio.it). Gestisce il blog di divulgazione poetica:
"Blanc de ta nuque" (http://golfedombre.blogspot.com/) e
"La distanza immedicata" (http://ladistanza.blogspot.com/) .

5 commenti:

gugl ha detto...

Grazie Rosa per l'ospitalità e per l'ottima lettura.
Mi sono permesso di continuare il dialogo su Blanc, con una mia nota.

francescomarotta ha detto...

Una nota acuminata e rivelatrice per due testi nei quali trascorre, innominata "presenza", il respiro sotterraneo e potente dell'allegoria. Solo i suoi "nodi immaginali" - "albedini" che annunciano chiarori di radura senza dismettere la veste che ancora le appartiene alla natura profonda della "selva" - permettono alla lingua di riconoscersi sostanza partorita dallo stesso grembo del movimento caotico a cui dà forma e voce.

Un in-canto.

fm

gugl ha detto...

grazie!

margherita ealla ha detto...

Bello questo incontro! (intendo questa serie di voci intorno, proprio cerchio, a quella "quercia", al "bacio")

e molto bella e centrata questa lettura di Rosa Pierno, al quale si aggiunge la bellissima definizione di "nodi immaginali" di Francesco Marotta- come centri focali e pietre focaie della "grande madre", anche lingua
nel momento in cui, come dice Francesco, questi nodi le "permettono di riconoscersi sostanza partorita dallo stesso grembo del movimento caotico a cui dà forma e voce"

Molto bello il tuo canto e anche il controcanto del tuo commento su Blanc, soprattutto nel passo:
"Cultura, in questo senso, non può che partecipare dell'osceno, di quanto, appunto, è fuori scena, nascosto, "da pensare". E la natura, per suo conto, può essere messa in scena soltanto nelle forme proprie alla cultura."

(mi sa che non ho detto...ho solo Cita citato :))

ciao

Anonimo ha detto...

Scopro ora e inediti e lettura, ed è materia sorprendente, cosciente del limite ma fuori dallo schema, su cui riflettere con calma. Ho molto apprezzato.

(quella "scrofa", poi, che ha la stessa forza della "zanna" di Celan, quella che "governa /dai resti del cretaceo", unita a una perspicuità anche maggiore...)

un saluto,

fabio teti