mercoledì 11 maggio 2011

Angela Glajcan presentata dalla galleria Grossetti di Milano a The Road to Contemporary Art Fair, Roma, 2011


L’assunto iniziale che la carta possa inglobare volume sembra paradossale solo finché non viene trovata la soluzione, come accadde a Enea che si sentì dire da Didone che avrebbe avuto in regalo, per fondare la sua città, tanta terra quanta ne avrebbe potuta contenere una pelle di bue. Tagliata in strisce fornì ad Enea 22 stadi di terra. I fogli di carta distanziati e legati da perni, attraverso cui Angela Glajcan, artista tedesca, ricava intercapedini di vuoto e con cui costruisce figure geometriche irregolari, e che inoltre fora al centro con strappi, ottenendone imbuti, scivoli che conducono in profondità intestine, non solo producono volume, ma l’artista, con gli strappi con cui depriva la superficie del foglio della parte interna, consegue anche un ulteriore grado di profondità,  mostrando gli strati di  cui è composto ciascun foglio attraverso i bordi scabrosi dei fori. La splendida consistenza materica di tale carta, pesante e flessibile, la quale cade meglio di come cadrebbe qualsiasi tenda dai soffitti ai quali queste strutture sono sospese, fa sì che le opere appaiano sempre sul punto di cadere definitivamente, di aprirsi in direzioni insospettate, avendo un’ambigua rigidità. Carta che non reca segni e che è, essa stessa, segno. Materia che diviene autonoma, liberata dal ruolo di supporto, e che viene trasformata dalla capacità di Angela Glajcan come avviene nei “Prigioni”, quei marmi di Michelangelo in cui il “non finito” fa emergere la pura materia eppure integrata nella figura, figura essa stessa: presente in quanto marmo. Una considerazione particolare merita anche il vuoto generato dalla sovrapposizione dei fogli, ascrivibile alle caratteristiche particolari del materiale da cui è generato. La sua luminosità e motilità crea un cratere a rovescio che s’insinua nel moto di questi dragoni sospesi. E che non ne fa mai scorgere il fondo se non immaginando una rotazione attraverso cui l’asse dei fori ni fogli verrebbe a coincidere. Mentre nelle installazioni formate da nastri è la percorrenza a essere l’elemento che trascina il fruitore in un  falso nastro di Möbius. In ogni caso, egli, modificando la propria posizione,  vede i volumi trasformarsi in grate, in pettini attraverso cui scorge le pareti museali, ma ritagliate in strisce che appaiano compresse o allargate in relazione alle ondulazioni della carta. La carta, dunque, non solo in quanto schermo, ma anche in quanto partizione, in quanto agente sulla visione e sullo spazio. Anche il tempo viene coinvolto, presentificato, nei volumi di carta erosi, consumati da abrasione che si direbbe connaturata alla durata della carta. Non crediamo che vi sia un limite, se non paradossale, appunto, alle forme e ai volumi che Angela Glajcan potrà ancora ottenere da questo materiale. 

Rosa Pierno
http://www.grossettiart.com/

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